Confesso di essere un po’ perplesso di fronte a questa ennesima serie di racconti di Stefano Benni, “Cari mostri”. Per un verso, registro con piacere che l’Autore è rientrato in pieno nei termini di esercizio della sua “premiata ditta” che già tanti capolavori ci ha dato. E’ chiusa la parentesi costituita da “Di tutte le ricchezze” in cui Benni si era dato all’autonarrazione, affondando in una vicenda abbastanza prevedibile di un anziano alle prese con problemi di paternità e di sessualità residua, e così via. Ma, ritornando ai soliti caratteri di una formula vincente, ha pure avvertito che ci voleva qualche cambiamento, come succede a un accorto venditore di giocattoli che sa bene come la affezionata clientela muti i gusti, e dunque i “lego” che andavano una stagione precedente, ora devono essere ispirati a qualche nuovo motivo di attualità, anche se il meccanismo interno resta più o meno lo stesso, si tratta pur sempre di attaccare tra loro tanti pezzetti prefabbricati. C’è tra i protagonisti di questa raccolta il caso di un direttore di museo che confessa apertamente: “il mio compito è far tornare i conti”, e dunque bisogna che le mummie egizie riescano a ridiventare attraenti, a narrare qualche vicenda intrigante. O se si vuole, possiamo anche ricorrere alla frase proverbiale del Gattopardo, cambiare tutto perché nella realtà non cambi niente, e si possa continuare a ordire i medesimi giochi. Così pure i mostri qui evocati, e con loro il genere del nero, del terrore, dell’incubo ecc., sono solo un modo abile per continuare nella solita pratica consistente nello sconsacrare i temi dell’attualità accompagnandoli con sberleffi, capovolgimenti irridenti, contestazioni impietose, il tutto effettuato da uno spirito del tutto disincantato, laico, coi piedi ben calcati sulla terra, quale è il nostro Benni. O forse no, ci sono pochi casi in cui gli riesce davvero di accedere a questa diversa sensibilità. Il che avviene soprattutto nel primo racconto, per cui funziona come indice di autentica perplessità la domanda che lo intitola, “Che cosa sei?”. In questo caso si tratta di un certo Wenge, un mostro autentico partorito dalla fantasia dell’autore, strano incrocio tra varie specie animali, essere misterioso e crudele fino in fondo. Un altro caso analogo è quello del Lampay, anche qui strano essere in bilico tra il regno vegetale e quello animale, che si accende nella notte e si consuma rapidamente, proprio come la disponibilità presente in Benni a compiere “quattro passi nel delirio”. Appartiene a questa serie privilegiata pure “La Parola”, un’impronunciabile sequenza di lettere, Hyannimath, che peraltro, a detta dello stesso Autore, resta a gravare sullo sfondo senza alcun effetto.
Tolte queste incursioni effettive nel regno dei mostri, in tutti gli altri casi ritroviamo, e lascio al lettore stabilire se ciò avvenga con suo sollievo o con delusione per una promessa non mantenuta, il nostro imperterrito profanatore e sbeffeggiatore di tutti i luoghi comuni e scontati. Delizioso è quando Dracula, il Vampiro per eccellenza, viene chiamato dall’esattore fiscale per omessa denuncia dei redditi, o quando in una morgue si trovano a dover identificare un tale defunto dal nome di Edgar Allan Poe. In tema di comicità conseguita per antifrasi, perfetta è pure quella gara d’aste di pianeti messi all’incanto, dove un universo ormai dominato dalle cozze si prende il piacere di acquistare uno di questi pianeti abitati da una stramba razza detta degli Uomini. Forse di nuovo il nostro autore si identifica con quel “primo della classe” ricattato da una compagna, bella ma perversa, che lo costringe a farsi passare i compiti, al che lui si vendica stendendone una versione offensiva verso tutte le autorità costituite, a cominciare dal presidente della Repubblica, definito “una palla”. La prova più abile, ma anche posta nel solco di meccanismi fin troppo collaudati, è una sorta di poemetto eroicomico dedicato a una tribù di gatti, che scoprono con raccapriccio di essere perseguitati da un serial killer il cui fine del resto, molto prosaico, è di metterli in pentola, da qui indagini, affidate a un Ispettore Mitsch con cui rivivono le imprese di qualsivoglia investigatore di grido, ma trasferite al solito registro dell’irrisione e della farsa, in cui Benni continua a muoversi con pieno agio. Basta questo per promuoverlo? E ce la farà, il nostro abile venditore, a continuare a persuadere l’affezionata clientela ad acquistare i prodotti, ad accettarne di buon grado le variazioni e mascherature?
Stefano Benni, Cari mostri, Feltrinelli Editore, pp. 247, euro 17.