Letteratura

Battig: il nulla nella narrativa non esiste

Ho già detto più volte della mia assoluta fedeltà alla splendida serie di nuovi narratori emersi nel corso dei raduni di RicercaRE, a Reggio Emilia, nel corso degli anni Novanta, poi da noi antologizzati in una preziosa antologia, “Narrative invaders”, ora in distribuzione nella rete Rcs (o già passata a Mondazzoli?). In genere hanno tutti continuato sull’onda, che in un saggio collaterale io stesso ho salutato con “E’ arrivata la terza ondata” (da ricercare presso lo stesso distributore). Alcuni di loro sono andati “a dama” giungendo fino a riportare il Premio Strega, altri sembrerebbero essersi dispersi, come per esempio Simone Battig, che però ora mi dà segni consistenti di tenuta, mettendomi al corrente di una uscita cartacea, “Sul nulla”, Theoria, 1999, ma poi passato a miglior vita, confluito cioè in e.book con Terraferma. E mi segnala anche “Vitalogy today”, attestando insomma una persistente vena creativa. Che del resto rispetta una specie di grado zero che fu proprio di tutta quella eccellente situazione, un aggredire cioè la realtà nel modo più diretto, quasi muniti di registratore, con le varie conseguenze di una tale scelta, tra cui uno svuotamento dei contenuti, un chiacchiericcio sullo scorrimento della vita nella sua quotidianità, condita con gli impulsi elementari, cibo, sesso, droga soprattutto, come ingrediente necessario per accrescere il quoziente stesso di una vitalità elementare. Si tratta quindi di un “nulla”, come sventolato dal titolo dell’opera sopra menzionata, se si pretende di andare alla ricerca di fatti grossi e consistenti, ma si potrebbe applicare in proposito una osservazione fondamentale del numero uno della musica, o non-musica contemporanea, John Cage, secondo cui non esiste il silenzio, dato che, se non altro, in assenza di ogni rumore esterno, avvertiamo il pulsare del nostro cuore. Lo stesso si può dire a livello di narrazione. Anche se l’esistenza, come nel caso del protagonista di questa non-fiction, Jason, scorre nella totale rinuncia a impegni di lavoro, verso fini costruttivi e rilevanti, di quelli che piacciono ai genitori e all’universo dei valori convenzionali, essa risulta ugualmente riempita da una specie di rumore di fondo, che appunto non può mancare. E che richiede di essere afferrato con strumenti alla sua altezza. Sul versante linguistico-letterario questi staranno in una ossessiva paratassi, in uno snocciolare frasette minute, senza paura della ripetizione, protese a ridire le stesse cose come in lunghe, spropositate litanie. Al limite, c’è da chiedersi se valga la pena insistere nel ricorso allo strumento della scrittura o se non sia meglio passare a mezzi più aderenti nel confronti di questa corrente di parlato. Sappiamo tutti che c’è la crisi del cartaceo, e dunque forse è meglio che la narrativa emigri verso esiti elettronici, andando a occupare siti, blog, come il presente, o a depositarsi in dischetti, chiavette e simili.
In definitiva, lo sappiamo da tempo, che lo scrittore deve ritrovare in lui il fanciullino pascoliano, basta che non si pensi che per questa via si giunga a un paradiso enfatico e caramelloso. I bambini ci sono, entrano in questo fiume di registrazioni, ma vengono subito definiti come “cattivissimi e schifosamente sinceri e sporchi e puliti”. Nel che sta anche una qualità ossimorica, o conciliazione degli opposti, data dalla coesistenza degli “sporchi e puliti”. Il che vale anche se proiettato in direzione dell’adulto, Jason, che si confessa a noi, il quale per esempi, da bravo adepto del culto dello Zen, da allievo di un Kerouac per cui “Everything is holy””, fa di tutto, quando orina in un vater, per non centrare un povero moscerino e travolgerlo in quel diluvio improvviso. Oppure si veda con quanto amore assiste un povero gatto accettando a stento che il veterinario lo uccida. Ma naturalmente, se si trova a pranzo col padre, verso di lui, disco chiuso, ostentazione di professare proprio il culto estremo di un “nulla” che porta il genitore fuori dai gangheri, a confronto con una figlia invece più virtuosa e accondiscendete. Ma il nulla, anche a livello narrativo, non esiste, i nostri strumenti non possono non captare un tessuto continuo di ronzii, brevi emissioni, volizioni, atti mancati, o invece improvvise decisioni. La narrativa diventa come un sismogramma, condividendo anche l’avvertenza di evitare le scosse troppo forti e traumatiche che farebbero “saltare” il sottile pennino, tarato per cogliere i più impercettibili tremiti esistenziali.

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