Non so perché le milanesi Gallerie d’Italia abbiano affidato una mostra in sé abbastanza allettante, dedicata al ritorno della pittura nei nostri anni 80, a Luca Massimo Barbero. Il curatore naturale di una rassegna del genere doveva essere Francesco Tedeschi, che proprio in quelle sale ha apprestato una esposizione ben dettagliata di tutti i migliori protagonisti di quella stagione. Barbero invece ha proceduto rimanendo prigioniero di ogni possibile “idolo” non so bene se della tribù o del foro. Tanto per cominciare, gli sfugge il fatto che i decenni non si identificano mai con i loro stretti confini cronologici, ma cominciano prima, e finiscono anche in anticipo rispetto alla loro scadenza. Non per dire, ma questo ritorno alla pittura era già presente in una mostra da me curata allo Studio Marconi nel 1974. Vi figuravano già Luigi Ontani e Salvo, suppergiù con dipinti simili a quelli che, bontà sua, il nostro Barbero si è degnato di mettere nella sua esposizione. E’ vero che io mi fermavo lì, dato che ogni altro possibile protagonista di quella medesima stagione non era ancora pronto a comparire, ma subito dopo ho riconosciuto in pieno i meriti di Carlo Maria Mariani e di un movimento come quello degli Anacronisti, patrocinato dalla grande firma di Maurizio Calvesi, assieme a Giuseppe Gatt e Italo Tomassoni. Invece il nostro Barbero se ne scorda del tutto, forse perché non li ritiene alla moda. Naturalmente, egli mette in primo piano, col massimo degli onori, i soliti Transavanguardisti al completo, forse ignorando che le loro azioni attualmente sono alquanto in calo, mentre stanno risalendo quelle dei miei tanto disprezzati Nuovi-nuovi, non solo con i capofila Ontani e Salvo, ma anche con altre presenze ugualmente pimpanti. E non lo dico solo io, ovviamente sospetto di tirare la volata ai “miei”, ma lo dice anche un gallerista a suo tempo fondamentale proprio per le sorti di Sandro Chia e compagni quale il modenese Emilio Mazzoli, che ora è molto convinto dalle prestazioni di Marcello Jori, ovviamente del tutto trascurato da questa vetrina. E che dire di altre presenze ben degne di apparire, come il torinese Luigi Mainolfi, il milanese Giuseppe Maraniello, il bolognese Bruno Benuzzi, il brillante duo romano Levini e Salvatori? E beninteso dovrei elencare altri membri di quel gruppo, che Barbero ha ritenuto del tutto trascurabili, ma non Tedeschi, quindi li si potrà ammirare al completo quando questa corte pretestuosa verrà tolta di mezzo. Barbero ha pensato di cavarsela facendo qualche omaggio a ospiti di gallerie a cui non si può dire di no, come appunto il sempre esistente Studio Marconi, e dunque, vedo con piacere in pole position Aldo Spoldi. E poi, tante presenze inutili o fuori campo, in quanto di artisti certo ben addentro a un rilancio della pittura, ma perché lo hanno fatto quasi sempre nella loro carriera, da Baj a Schifano a Mondino. Tra gli artisti inseriti a forza c’è pure Mario Merz, che senza dubbio è stato tentato anche lui, come già ai suoi inizi, da un possibile ritorno alla pittura, ma vi aveva posto termine già al chiudersi del ’70. Così come del resto questa stessa riapparizione del dipingere terminava non certo alla fine degli ’80, ma alla metà di quel decennio, dopo l’85, quando il panorama italico si animava con le presenze dei vari Arienti, Cavenago, Nuovi Futuristi, membri della Scuola di Piombino, eccetera, tutti più o meno solidali nel rifiutare proprio la pittura, e l’Aperto del ’90 alla Biennale di Venezia si preparava a consacrare il numero uno di quel momento di svolta, Jeff Koons. Volendo concedere qualcosa allo stentato responsabile di questa rassegna, devo dire che ho apprezzato molto l’omaggio posto nella prima sala, su una ampia piattaforma, rivolto allo Studio Azzorro, con una delle sue opere più fascinose, quella nuotata a bracciate vigorose di un atleta che riempie di sé in sequenza il diritto e il rovescio di quei riquadri. Questo, se si vuole, come memento che il ritorno alla pittura non riempì di sé in esclusiva l’intero decennio.
Painting is back, a cura di Luca Massimo Barbero, Milano, Gallerie d’Italia, fino al 3 ottobre.