Letteratura

Avoledo e le sue peripezie tra il credibile e no

Tullio Avoledo è stato uno degli ultimi narratori ad affacciarsi alla serie felice tenutasi a Reggio Emilia, RicercaRE, con brani di un romanzo di cui non ricordo il titolo, in cui annunciava già la sua natura irrequieta ed errabonda, anche se per il momento ancorata alla condizione di un modesto impiegato di banca provinciale, che però, scendendo negli scantinati dell’edificio, vi coglieva già, e faceva cogliere a noi, gli indizi di qualche mistero. Poi il nostro argonauta è risalito a galla e da quel momenti si è dato a perlustrare i dintorni, dapprima con cauti sondaggi ancora limitati alla regione veneta di partenza,  poi via via più allargati, come a valersi di un mappamondo, andando a piazzare i suoi intrighi nelle sedi più disparate. E al pellegrinaggio geografico faceva seguito una altrettanto compiaciuta varietà di casi, di intrighi,  tra il poliziesco, il giallo o addirittura il nero, però con periodici richiami all’ordine, cioè alla terra di origine,  anche con ricomposizione di amori altrimenti sfilacciati e dispersivi. Avoledo è un buon produttore, forse troppo, difficile salvare ciascuno dei suoi innumerevoli romanzi. Io stesso mi sono alternato, ogni volta che gli ho dedicato qualche attenzione, tra consenso e dissenso, muovendogli dei rimproveri, cercando di contenere la sua bulimia entro termini sopportabili. Ora ricevo da lui un romanzo che sfiora le 500 pagine, di cui sento il dovere di parlare, tanto più che non è dei peggiori. Magari il titolo ne è eccessivamente lungo e immotivato, Non è mai notte quando muori. Tutto scritto in prima persona, da tale Sergio Stokar, detective in disarmo, che però viene assunto da un potente, ricco sfondato, Oleg Suvarin, con la missione di ritrovare un figlio, Viktor, scomparso, non si sa se rapito per taglieggiare il genitore, o ucciso per vendetta. La trama in sé non avrebbe nulla di rilevante e di positivo, ma nella ricerca il nostro inquirente può inserire un’ampia documentazione di viaggio che il piccolo funzionario di banca si deve pur essere costituito, andando in giro per il mondo, C’è in particolare la presenza del mondo sovietico, o meglio, della disfatta dell’URSS e di tutte le sue pretese di democrazia popolare. Il narrante è impietoso nel descrivere gli squallidi panorami delle città post-sovietiche e dei miserabili modi attuali di viverci. Per meglio esplicare questa sua capacità egli si inventa di proposito un Paese satellite, Aro Allshms, in cui tutti i difetti del regime sovietico si ripresentano in forme accresciute, esasperate, compresa la mancanza di garanzie di incolumità. È il Paese dove, forse, vive Viktor, cui è dedicato un ritratto efficace, di bamboccio impacciato, del tutto dipendente dai soldi del genitore. E c’è di mezzo anche qualche ex-gerarca del nazismo, che si è rifugiato in quel regno improbabile, come un prodotto tenuto sotto platica, al riparo dai miasmi della putrefazione. Naturalmente il nostro eroe, Stokar, si deve muovere con circospezione, tra finti amici e amiche che poi si rivelano traditori, spie vendute al nemico. Nulla è sicuro, tranne forse i pasti che ci sono serviti in mille modi, tra il precario, il casual o invece il ricco, da ristirante stellato. La stessa abilitò e credibilità che Avoledo ci mette quando ci parLa di architetture più o meno fatiscenti, la ritroviamo nei pranzi, Insomma, se i fatti di trama girano al largo, dotati di scarsa credibilità, ci sono come degli ammaraggi nella solidità di dati materiali, di un realismo che in definitiva salva la baracca, le dà qualche pizzico di credibilità che le vicende arruffate fanno di tutto per mandare all’aria.

Tullio Avoledo, Non è mai notte quando muori, Marsilio, pp. 495,

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