Mi sono procurato il romanzo di Marco Amerighi, “Randagi”, di cui la prima cosa da notare è l’elogio sperticato che gli rivolge nel retro di copertina Sandro Veronesi, forse legato all’autore da qualche rapporto d’amicizia, diversamente non condivisibile. Amerighi, nelle sue troppe pagine, ricalca romanzi ben noti e condotti senza dubbio in modi migliori. Penso a Enrico Brizzi, che sa svolgere in modo più sicuro e soddisfacente uno dei temi di questo romanzo, il rapporto tra due fratelli, come avviene appunto nel “Matrimonio di mio fratello”, di qualche anno fa, e nel recente “La primavera perfetta”. Ma nella conduzione di Renzi i rapporti tra i due fratelli sono chiari, ben scanditi, trattati come lui sa fare molto bene, con ironia, piena immersione nei relativi contesti, tutto bene, tutto giustificato. Qui invece non si capisce quale sia il rapporto tra il protagonista Pietro Benati e il fratello Tommaso. Chi dei due è il “dritto”, il furbo, l’adeguato alle situazioni via via incontrate, e chi invece il succube, addirittura il ritardato, sempre bisognoso di un incoraggiamento? E che cosa li spinge al destino di “randagi” annunciato nel titolo, perché Tommaso va a finire in America, portato dal successo, no, al contrario, da insuccessi a catena? E perché Pietro ce lo ritroviamo a un tratto in Spagna? Anche qui vengono in mente i protagonisti tanto cari a una narratrice che finalmente ho imparato ad apprezzare, Romana Petri, capace però di fare presa davvero nel Paese, il Portogallo, in cui trasporta i suoi personaggi, mentre qui l’erranza sembra avvenire senza precise motivazioni. C’è poi una promettente saga familiare, dal nonno al padre dei due, ma anche in questa fetta di storia patria Amerighi è preceduto da imprese meglio condotte e più significative. Insomma, nel complesso, siamo in presenza di una prova da serie B, tributaria di opere condotte con mani più ferme e con maggiore abilità.
Marco Amerighi, Randagi, Bollati Boringhieri, pp. 384, euro 18.