Fa tenerezza notare come l’ambiente artistico bolognese, pur privato causa covid di quel decisivo volano che è Artefiera, non abbia però voluto rinunciare al solitamente concomitante Art city, disseminando per la città tanti minuti eventi. Io, vittima ormai stabile di difficoltà deambulatorie, non sono stato in grado di visitarne molti, di questi appuntamenti, ma non ho voluto mancare a quello offerto in Palazzo Vizzani dall’attuale proprietaria, Camilla Sanguinetti, che ha dedicato il piano nobile della dimora a ospitare un club dal nome alquanto ermetico, Alchemilla”, pronto però ad accogliere artisti assai stimolanti. Come è ora il caso di Alessandro Pessoli, perfetto rappresentante di una delle tendenze più promettenti del momento, un polistilismo, o eclettismo che si tiene lontano da certi purismi asfittici e azzeranti. Forse proprio per tanta ricchezza di impulsi Pessoli è andato a esercitare in una Los Angeles che è il contrario dei rigori puritani presenti a New York, pronta invece a tutte le mescolanze, forse memore della Funk Art che, da San Francisco, e raccogliendo anche gli stimoli della beat generation, aveva fatto il controcanto al binomio minimalismo-concettualismo imperversante sull’altra sponda degli USA. In questa mostra Pessoli ci accoglie esibendo una schiera di burattini, di spaventapasseri, che forse discendono dalle nostre sagre paesane carnevalesche, ma appunto in stretto collegamento con le improvvisazioni quasi di sapore neobarocco della Funk Art. Naturalmente, il dato primario a contrassegnare questo spirito di esuberanza è il cromatismo, pronto a colorare tante sagome tracciate alla brava, come fossero i disegni di una collezione infantile in attesa delle prove di pittura messe in atto da una banda di ragazzini impegnati a provare l’arcobaleno di matite o di tavolozze, o da stampatori decisi a valersi di rossi sfacciati, di blu, di gialli sulfurei. Ma il Nostro non si ferma qui, cioè a un esercizio pago di virtuosismi tenuti sulle due dimensioni, è pronto ad affrontare anche i volumi, la scultura, ma in modi anch’essi leggeri, sfruttando soprattutto la duttilità, il modellare la materia plastica in lunghi filamenti, o in pallottole, in pillole da mettere al sicuro entro tasche, cassetti, ripostigli nascosti. Mi dicono che del resto, a consacrare tanta leggerezza egli preferisce dare a queste sue prove il nome in apparenza contradditorio di “disegni”, ma vale proprio a indicare un impulso a ricamare lo spazio, a imprimervi ghirigori, frange esili e delicate. Fra l’altro, in questa vivace presentazione di mezzi e maniere multiple, manca all’appello quella affidata al video, di cui Pessoli è parimenti maestro, come abbiamo potuto ammirare quando ne ha proiettato uno, fantasmagorico, in continua mutazione su una parete dello spazio che la Fondazione del Monte consacra alle mostre. E anche quella voleva essere una rassegna dedicate a ospitare i “disegni” di tanti artisti di casa nostra.
Alessandro Pessoli, City of God, a cura di Fulvio Chimento. Bologna, Palazzo Vizzani, via S. Stefano 43