Sempre dalla mia fonte principale, Artribune, apprendo che il Guggenheim di New York dedica una rassegna a Alek Katz, artista longevo che sfiora i cento anni, Che differenza, rispetto all’ultima mostra che qualche anno fa avevo potuto vedere in quell’insigne museo, dedicata a un artista super-concettuale come On Kawara, che riempiva le pareti elicoidali di quello spazio con una serie infinita di telegrammi con un’unica frase, I am still alive, seguita, dal giorno e ora in cui tquel messaggio era stato inviato. Mosra ispirata a un concettuale duro e purio, pronto anche a sfidare la noia. La cosa mi dà lo spunto per segnalare il mio ultimo libro, Protagonisti, dove mi sono deciso ad abbandonare il mio consueto schema bipolare ispirato dal Woelfflin con le oscillazioni periodiche tra il chiuso e l’aperto e viceversa, alleate pure all’asse dello scorrimento temporale per cui questa monotona oscillazione si compone con un asse di traslazione temporale, dal che nasce uno schema grafico a spirale, ovvero l’arte ritorna periodicamente sul chiuso o sull’aperto, ma da posizioni diverse, il che inserisce quella che io ho chiamato, in una mostra omonima del 1974, ripetizione differente. Ma ho capito che era ormai l’ora di uscir fuori da quel ritmo noioso, e di adottare piuttosto lo schema ternario proposto da Hegel, anche se si tratta di un filosofo che non amo affatto, ma appunto la sequenza per cui a una tesi si contrappone una antitesi, e infine i due estremi si conciliano in una sintesi finale, ora mi appare utile, funzionale. Prendiamo proprio il caso di Katz, che non può essere confuso con i fautori dell’antitesi, cioè con le varie modalità di recuperare il passato e il museo, magari riallacciandosi all’ esempio di De Chirico. Esaminerò nel brano seguenete il caso di Giulio Paolini, perfetto nel saltar fuori dalle regole e restrizioni della tesi, ovvero dalle concezioni del ’68, ma senza aprire del tutto a valori intermedi, come per esempio un colorismo ostentato, Caso mai, questa antitesi negli anni ’70 e oltre è stata espressa magnificamente da Ontani e Salvo, a cui non per nulla ho dedicato due capitoli nel saggio ricordato, Protagonisti. Ma Katz rappresenta una terza via, in quanto rilancia i motivi di figura, valendosi di un colorismo schietto che non prende proprio nulla dal museo o da un deposoito di vecchie immagini, ispirandosi invece all’attualità, al mondo attuale della pubblicità e simili. E tuttavia, forse questo artista procede per tale via in modo troppo semplice e scoperto, dandosi a una specie di gioco delle ombre cinesi, per cui in definitiva, pur menzionandolo, con rispetto, gli ho preferito puntare l’attenzione su David Hockney, che procede nello stesso senso, ma dando più corpo ai suoi fantasmi.. evitando il upro ritaglio di figurine pronte a entrare in un album da collezionisti di immagini, magari ricavate da decalcomanie. Peraltro, accanto a Hockney, non ho mancato di ricordare proprio il caso di Katz, in qualità, diciamo così, di buon secondo.