Arte

Paola Pezzi, tra contrazioni e distensioni

La Galleria del Milione, a Milano, nella sede che occupa ormai da parecchi anni, in fuga dai quartieri alti di via Bigli ma nella zona vitale di Porta Garibaldi, mette in onda un catalogo completo dell’opera di Paola Pezzi (1963), artista robusta e solida che avrebbe meritato un’inclusione tra i pochi italiani ammessi alla attuale Biennale, in luogo dei corretti ma un po’ insipidi prescelti, se si eccettua il caso straordinario di Maria Lai. Credo di aver contribuito alla scoperta della Pezzi, quando nei primi anni ’90 l’ho vista alla Galleria di Franco Toselli, che, non dimentichiamolo, fa parte della sacra triade, assieme a Sperone e a Sargentini, cui si deve il lancio di tante nuove proposte, solo che Franco, al confronto con gli altri due, è più instabile e precario per ragioni finanziarie, destinato a scomparire di tanto in tanto ma poi a riemergere. In quel momento la nostra Pezzi proponeva oggetti forse casalinghi, ma avvolti in bende, come mummie egizie, come quelle bambole che si scoprono nelle tombe dei faraoni o dei loro dignitari. Era era una sinfonia di colori spenti, terrosi, austeri. In seguito l’artista ha voluto reagire a quel clima smorto e funereo, dandosi invece a una vivace policromia, ma mantenendo pur sempre la tendenza a stringere, ad accorpare i suoi volumi. Diciamo che dalla mummificazione di oggetti di casa, siamo passati agli zainetti di una classe di scolaretti, pronti a inalberare le multiformi insegne delle varie bandiere nazionali, o delle affiches pubblicitarie. Quasi una sfida a Boetti, ma col criterio di addensare quelle manifestazioni colorate, portandole a fare muro, proprio come se una scolaresca fosse stata invitata ad accumulare gli zainetti, a costituirne una pira nel più pittoresco disordine. Fino a quel momento, però, trovava conferma il rispetto per formazioni quadrangolari, compatte, raccolte su se stesse. In seguito la nostra Pezzi ha sentito il bisogno di mutare la morfologia di base, passando a forme circolari, o tubolari, o appuntite, come se si tuffasse in mari caldi per sottrarvi alghe, colonie di coralli, di anemoni. O è anche come se da una fase centripeta, l’artista si fosse data invece a un movimento centrifugo, aggressivo verso il visitatore, protendendo contro di lui una barriera di aculei, magari anche solo attraverso matite appuntite. Di tanto in tanto, poi, durante le varie fasi, la nostra artista ha sentito il bisogno come di riposarsi, di schiacciare le sue forme sul piano, mutandole in terreni screziati, ondulati. Assistiamo comunque a un accattivante spettacolo sempre reattivo, sempre in marcia, a determinare un profilo mosso e vivace, degno della migliore accoglienza.

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