Arte

Merritt Chase, a completare l’Impressionismo statunitense

Merita senza dubbio una visita a Venezia l’ampia retrospettiva che in questo momento si può ammirare al secondo piano di Ca’ Pesaro, dedicata al pittore statunitense William Merrit Chase (1849-1916), esponente di un Impressionismo nordamericano che si rivela sempre più ampio e memorabile, in piena competizione con i concorrenti attivi presso i “vecchi parapetti”, per dirla con Rimbaud, dell’Europa, e a dimostrazione, una volta di più, che non è proprio il caso di lasciare il monopolio di quel movimento ai soli Francesi, e tanto meno al solo Monet. Il Nostro viene a ruota di due artisti forse in definitiva più grandi di lui che sono, in ordine cronologico, Winslow Homer e Thomas Eakins. Nato circa un decennio dopo di loro, però non supera l’ambio di manifestazione proprio dell’Impressionismo, e non tocca le sponde dell’”ismo” successivo, il Simbolismo, che peraltro non ebbe molta cittadinanza oltre Atlantico. Ma dei suoi due predecessori Chase condivide in pieno il tratto essenziale, la larghezza di un vedutismo che sa cogliere i suoi temi in campo lungo, o, si potrebbe anche dire, adottando un grand’angolo, quasi che la vastità del continente nordamericano avesse un fedele riscontro nell’avidità dell’occhio del pittore. E a tanta vastità di presa fa pure riscontro una ampiezza di soggetti, con rifiuto di una qualche specializzazione, nel che il nostro artista segue a ruota i suoi due predecessori. Egli infatti risulta felice e largo di presa sia nel ritratto, sia nel paesaggio, con particolare riferimento alle vedute di mare e di spiagge, sia negli interni. Si aggiunge anche una qualche ampiezza geografica, ma non in eccesso, certo si danno gli immancabili soggiorni a Venezia, compiuti in età giovanile e poi in piena maturità quando il nostro pittore, divenuto apprezzato docente, portava i suoi allievi nei luoghi sacri del Vecchio Continente. E dunque la mostra annovera una sezione di vedute veneziane, da cui trae anche la legittimità di ospitare la mostra, proveniente da luoghi statunitensi deputati come Washington e Boston. Si potrebbe obiettare che tanta larghezza onnivora di presa patisce a riscontro una certa caduta di accensione cromatica. Infatti c’è come una nebbiolina che si espande su tanta ricchezza di visione, offuscandola alquanto, ovvero, se ne facciamo appunto una questione di intensità di tavolozza, su questo aspetto forse Merrit Chase risulta alquanto inferiore allo sfavillio di colori di cui era capace Monet. Ma in definitiva il preteso capofila francese pagava la sua enorme felicità cromatica con una esclusione di tanti soggetti, a cominciare dal protagonista umano. Invece Merrit Chase, forse, mette la sordina alla accensione di tavolozza proprio in quanto le preferisce un largo appetito nel far presa sull’intero spettacolo, umano e naturale, di cui sa scandagliare ogni angolo, anche il più riposto e marginale. Infatti, se ci rivolgiamo alla serie ritrattistica, sorprende non tanto la maestria nel cogliere la sagoma complessiva della persona, o l’aderenza ai tratti fisionomici, quanto piuttosto l’attenzione prestata a dati marginali, a dettagli di moda e accessori che completano la presentazione del personaggio, pescati ai margini, quasi fuori quadro. Ovviamente tanta capacità di andare a sorprendere certi dati marginali si conferma negli interni, in cui gli abitanti sono sempre colti in campo lungo, il che consente di mostrarli avvolti da una pletora di complementi di arredo, tappeti, scansie, quadri alle pareti, con le relative cornici che valgono a suddividere e articolare lo spazio, a ripartirlo ingegnosamente. In tal modo Merrit Chase si porta a un passo dagli interni di cui saranno capaci i postimpressionisti francesi, Bonnard, Vuillard, anche se la sua visione risulta più ferma, più nitida, ma proprio per questo ancor più sicura nel fare presa su un gran numero di elementi di contorno, portati però a balzare in avanti, ad attirare su di sé una precisa e accurata attenzione. Tanta capacità analitica trova conferma anche quando l’occhio dell’artista esce all’aperto. Se si sofferma su spiagge e marine, le popola di presenze umane, di schiere di dame e di fanciulle, le cui candide “mises” diventano come un supplemento vegetativo, una fioritura che spunta tra le macchie verdastre delle erbe, a riscontro con una striscia alquanto pallida di mare, da cui emanano riflessi freddi e alquanto spenti. Sembra quasi che l’artista, per preservare tanta nitidezza di dettagli, decida di tenere in frigorifero la sua visione, forse nel timore che, se troppo riscaldata, gliene possa sfuggire la presa e ne vada persa l’armonia d’insieme. La visione del Nostro, insomma, intende essere plurima, distesa in una serie numerosa di spunti e di suggerimenti. Questo vale anche per le nature morte, che non si fissano mai su qualche aspetto concentrato e specifico, su un cumulo, su un gremito complesso arcimboldesco. La sua preferenza va a motivi ittici, a pesci che si distendono per il lungo, con le loro masse biancastre e argentate, quasi per accentuare ulteriormente il senso di uno spettacolo che, a garanzia della sua completezza e fedeltà, sceglie di tenersi sulle note fredde, conservato a basse temperature, e dunque preservato da sbavature, da indebite consunzioni. Tutto insomma al servizio di una visione precisa, avida di fare presa sulle mille suggestioni del reale, senza laciarsene scappare alcun dettaglio.
Merritt Chase. Un pittore tra New York e Venezia. Venezia, Ca’ Pesaro, fino al 28 maggio. Cat. Magonza.

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