Sono stato messo sulle tracce di “Incontri coi selvaggi” di Jean Talon dalla lettura di una recensione molto positiva stesa da Marco Belpoliti nella sua rubrica sull’”Espresso”, poi si è dato il caso favorevole di essermi trovato in una cena a fianco della madre dell’autore, a cui ho rivolto la richiesta di ricevere in dono una copia del libro. Molto gentilmente il figlio ha proceduto in questo senso, e dunque eccomi in presenza dell’opera, accompagnata anche da una gentile dedica. Sono quindi alquanto imbarazzato nel non potermi allineare nell’elogio senza riserve del recensore sopra nominato, anche se bisogna pur riconoscere che si tratta di una narrazione singolare e insolita. Ma mi pare che Talon non si sia inserito in alcune possibilità di svolgere un tema del genere, come sarebbe il condurre una esplorazione in un paese utopico, immaginario, gravato di doppi sensi allegorici, secondo la via magistrale seguita da Jonathan Swift nei “Viaggi di Gulliver”. Ma egli non ha optato neppure per una soluzione paradossale, provocatoria, volutamente bizzarra, alla maniera di Ermanno Cavazzoni e dei suoi “Lunatici”, anche se Belpoliti, nel suo resoconto elogiativo, non ha mancato di collocare il presente romanzo in un’area del genere, magari in nome della comunanza di area geografica, inclusiva anche di altri casi eccellenti, di Gianni Celati, di Paolo Nori. D’altronde, non credo che Talon abbia voluto adeguarsi a un modello agnostico di vera e propria indagine etnologica. Lo attestano soprattutto i capitoli iniziali, dove finge di riportarci allo stupore dei primi esploratori dell’era colombiana, che riempiono i loro diari, qui ricostruiti ad arte, di stupite registrazioni circa i costumi sorprendenti risultanti dai loro “incontri coi selvaggi”. Nel che, tanto per ampliare lo spettro delle soluzioni adombrate, ma non seguite in modo risoluto, ci sta pure un rifacimento di un Marco Polo dei nostri giorni. Venendo in su, verso avventure e ricognizioni attribuibili ad antropologici di riconosciuta fama, come Boas o Malinowski, senza dimenticare neppure il grande Darwin, Talon sembra optare davvero per i panni di un loro seguace per rigore di analisi. Magari si potrebbe fare un accenno anche in direzione dei viaggi, ma anch’essi non per nulla da me accusati di una certa vacuità, cui si dà un narratore assai reputato come Daniele Del Giudice. Ci sta perfino un riferimento alle avventure di Jack London, se ci si rivolge a uno dei capitoli più felici di quest’opera, “La caccia all’orso bianco”, ma perché in quella circostanza l’autore ha le idee chiare, ci serve una vicenda di azione concitata, il tuffo nelle acque ghiacciate dell’artico sia di un esploratore, il Rasmussen, sia di un povero orso, costretti per un momento a solidarizzare nel tentativo di risalire a galla aiutandosi l’un l’altro. Insomma, la parte positiva di questa narrazione potrebbe stare proprio nell’evocare tanti sentieri, ognuno dei quali, se seguito con piglio risoluto, avrebbe potuto portare a un buon esito, ma se solo adombrato, da lontano e con mosse incerte, sfocia in una certa inconcludenza.
Jean Talon. “Incontri coi selvaggi”, Quodlibet, pp. 190, euro 15.