Naturalmente come tutto il popolo della sinistra sono assai spaventato pensando ai mali effetti che la politica di Donald Trump, ormai sul punto di assumere il comando negli USA, potrà provocare, disfacendo la tela virtuosa intessuta tra mille difficoltà da Barak Obama. Ma c’è pure il proverbio che dice che tutti i guai non vengono necessariamente per nuocere, e che esiste pure l’eventualità del “buon diavolo”. In questa ottica, lo riconosco, pericolosa ed opinabile, si può considerare una giusta decisione quella annunciata da Trump, che non appena sarà nella stanza dei bottoni (e questa negli USA sembra davvero esistere), proibirà alle grandi industrie statunitensi, sul tipo delle fabbriche d’auto Ford e General Motors, di andare a produrre in paesi col costo della mano d’opera molto più basso, come per esempio il confinante Messico. La minaccia è che, se queste aziende insistono in una politica del genere, il governo nordamericano si arrogherà il diritto di cancellare i benefici ricavati dalla vistosa differenza nei costi orari del lavoro operaio introducendo dei diritti doganali tali da cancellare quegli stessi vantaggi economici così ottenuti. Nel mio piccolo, ho ripetutamente sostenuto questa tesi negli ultimi anni, sia “in chiaro” sull’”Unità”, sia in questi miei appunti quasi invisibili. E ho anche aggiunto che una risoluzione del genere mi sembrerebbe una causa sacrosanta da imbracciare, da parte non soltanto dei nostri sindacati, ma di quelli di tutti i Paesi dell’UE. Sappiamo bene dei disastri provocati dal fatto che grandi aziende nostrane, i piastrellari di Sassuolo, i tessitori di Prato, hanno dislocato le loro fabbriche in Paesi del terzo mondo, proprio per lucrare dell’ingente dislivello dei costi del lavoro. Bene, lo facciano pure, se lo credono, ma se poi intendono riportare entro i “vecchi parapetti” europei le merci così prodotte, paghino un diritto doganale capace di cancellare quel vantaggio furbescamente conseguito. Solo così si salva la nostra classe operaia, cui appare ben lontana la possibilità di andare in paradiso, mentre è vicina e imminente quella di crollare nelle tenebre infernali della disoccupazione. La CGIL farebbe assai meglio a sostenere questa causa, piuttosto che accanirsi per la cancellazione del Jobs Act e del ricorso ai vaucher, anche se queste pratiche non sembrano essere dei toccasana, e può essere giusto introdurvi dei limiti, o quanto meno dei correttivi.