Pare che il governo Gentiloni, forse stanco di sentirsi definire come un facsimile del precedente governo Renzi, abbia deciso di imprimere una svolta alla cruciale questione dei migranti. Per bocca del Ministro degli interni Minniti e del capo della polizia Gabrielli si sarebbe deciso di praticare quanto del resto, almeno sulla carta, era sempre stato dichiarato, il rimpatrio forzato di quanti, sbarcati sulle nostre coste, lo avessero fatto non per sfuggire a stragi e persecuzioni, ma solo per ragioni economiche, per cercare pane e lavoro. Una mossa, questa, decisa dalle nostre autorità, che ha fatto esultare i due populismi, quello della Lega e l’altro dei Grillini, che da sempre avevano invocato provvedimenti del genere. Ma era stato facile rispondergli che questi rimpatrii non si potevano eseguire, in quanto nei Paesi d’origine dei poveri migranti non esistevano le condizioni per riprenderseli. E dunque, era come agitare un vano spettro. Forse che oggi questa tragica situazione di “non recevoir” è cessata? Dicono che qualche possibilità esiste, ma nei confronti della Tunisia e dell’Egitto, ovvero di Stati da cui non proviene certo la massa dei fuggiaschi. Che cosa dunque può aver indotto a seguire le orme dell’opposizione nel rilanciare un provvedimento di così incerta esecuzione? Forse è il fatto che, finalmente, si è trovato un terrorista, quale l’esecutore della strage berlinese, giunto davvero presso di noi su un barcone, peraltro unico caso del genere. E dobbiamo anche chiederci quanto abbiamo contribuito noi, con maltrattamenti sistematici verso questo giovane e tanti suoi coetanei, nel persuaderlo a imbracciare senza esitazione la via del terrorismo.
Di passaggio, è da notare il curioso silenzio che si è stabilito sull’attuale condizione della Libia, che appena ieri sembrava la principale causa di inquietudine per il nostro Paese. Ma così vanno le cose, nello stato d’assedio dei quotidiani talk show, che si muovono tutti all’unisono, e richiamando più o meno le stesse persone, nell’insistere sugli argomenti di immediata attualità, mettendo a tacere in breve volgere di tempo quanto sembra allontanarsi da un immediato palcoscenico. Che cosa sta succedendo in Libia, nessuno ce lo vuole dire? Come va il governo legittimo di Tripoli, nei confronti degli oppositori di Bengasi? E la sacca di resistenza dell’ISIS è stata davvero debellata o sopravvive come rivolta endemica e inestinguibile? E potrebbe anche essere l’ora di stabilire con qualche forza rappresentativa di quel governo una modalità per colpire le imbarcazioni dei mercanti di vita?. Sarebbe possibile che una nostra unità militare di pronto intervento, col pieno appoggio di autorità locali, compisse un’opera di disinfestazione? E se si riprendesse a coltivare l’ipotesi di una cintura di sbarramento per impedire che le carrette della morte si allontanassero dalle coste libiche? Vecchio cavallo di battaglia di Salvini e compagni, ma in definitiva più accreditabile rispetto all’ipotesi degli impossibili rimpatrii collettivi. E se, altra alternativa, pagassimo qualche stuttura libica affinché voglia costituire un centro di accoglienza per quanti arrivano dall’interno dell’Africa, impedendogli di imbarcarsi verso i nostri porti? In fondo, pare che la soluzione analoga impostata con la Turchia “tenga”, la rotta balcanica dell’immigrazione pare essere stata davvero bloccata. Perché non tentare anche noi di fare qualcosa di simile, con soldi che dovrebbero venire dall’UE, soluzione molto più credibile rispetto all’altra, di distribuire i già arrivati sul nostro suolo nei vari Paesi? Il problema incombente e numero uno non è di rispedire alle loro case, non più esistenti, gli irregolari, che sarebbero poi la quasi totalità, ma di interrompere l’emorragia, il flusso continuo. A chi è già arrivato si riesce a provvedere, in un modo o nell’altro, basta che il loro numero non continui a incrementarsi.