Arte

Wolfango, pittore ad “alta fedeltà”

Non ho mai seguito l’artista che si firma Wolfango, ma ora che se ne festeggiano i novant’ani compiuti è giunto il momento che anch’io gli dedichi una dovuta attenzione, come del resto ho fatto riservandogli uno spazio, per quanto limitato, nella rassegna globale visibile al Palazzo Fava sulla “Bologna dopo il 1945”. A farmi prendere le distanze da questo artista non era certo il suo minuzioso realismo, sostenuto con un mestiere eccezionale. Oggi siamo pronti ad accogliere tutte le possibili declinazioni di un realismo accompagnato da una miriade di prefissi, “ir, iper, sur, meta, post”, ecc, declinazioni magari pronte a cercare tutte le possibili congiunzioni o sfide con la pericolosa compagna di strada che è la fotografia. Mi disturbava il fatto che le nature morte di Wolfango, eseguite alla perfezione, però si appoggiassero un po’ troppo a piani di base, per cui il realismo si diffondeva anche agli sfondi, mentre semmai, oggi si possono accettare soluzioni del genere se appoggiate a una sorta di “sharp focus”, per dirla nel gergo fotografico, disposto a isolare le immagini, a fargli il vuoto attorno, accettando anche di sollevarle dalla superficie per acquistare una terza dimensione, con illusionismo sempre più spinto. Si pensi alle soluzioni del tutto accettate e compatibili con i nostri gusti fornite dai poliuretani di Gilardi o dalle ceramiche del duo Bertozzi e Casoni. Insomma, la “high fidelity” oggi è stata sdoganata e largamente ammessa. Wolfango ha compiuto un passo avanti in questa direzione dato che, nella Sala ottagonale al secondo piano di Palazzo d’Accursio, espone “Le 4 stagioni. Concerto per frutta e verdura”, dove gli annunciati ortaggi e frutti e pesci e carni, e cioè tutto il classico repertorio delle nature morte, si sollevano a mezz’aria, staccano gli ormeggi da sfondi che pretendevano di trattenerli, di vincolarli a piani d’appoggio, e volteggiano liberi, come presi da un moto centrifugo, o come se li contemplassimo mentre ci appaiono roteanti nell’oblò di una lavatrice automatica. Si aggiunga che questa loro acquisita leggerezza è accentuata dall’essere dipinti con ricorso ai pastelli, il che ne accentua lo svincolo da una pesante materialità, ne esalta il disegno rispetto alla sostanza. E almeno in un caso si dà pure la fuoriuscita dalla superficie, Wolfango si cimenta in una realizzazione tridimensionale di questi suoi fiori e frutta, che è il tratto finale di uno sganciarsi da vecchie e tradizionali impostazioni, accettando la sfida di chi appunto si cimenta in una realtà non più illusoria, ma concreta, tangibile.
Aggiungo che questa felice presenza di un anziano e reputato artista, seppure in una stanza di dimensioni ridotte, è un nuovo passetto in avanti verso quella destinazione finale a compiti museali che dovrebbe essere data all’intero plesso dell’Accursio, togliendone le Raccolte civiche dal loro non magnifico isolamento, e magari riportando in quei luoghi il cosiddetto Museo Morandi, e stabilendo un collegamento pure con la Sala d’Ercole, al piano di sotto, che procede pure essa nel compito di offrire, seppure a singhiozzo, valide retrospettive di nostri artisti. Riuscirà il presidente appena nominato Roberto Grandi ad affrontare una simile strategia di ampio e globale respiro?
Wolfango, Le 4 stagioni, a cura di Alighiera Peretti Poggi.
Non ho mai seguito l’artista che si firma Wolfango, ma ora che se ne festeggiano i novant’ani compiuti è giunto il momento che anch’io gli dedichi una dovuta attenzione, come del resto ho fatto riservandogli uno spazio, per quanto limitato, nella rassegna globale visibile al Palazzo Fava sulla “Bologna dopo il 1945”. A farmi prendere le distanze da questo artista non era certo il suo minuzioso realismo, sostenuto con un mestiere eccezionale. Oggi siamo pronti ad accogliere tutte le possibili declinazioni di un realismo accompagnato da una miriade di prefissi, “ir, iper, sur, meta, post”, ecc, declinazioni magari pronte a cercare tutte le possibili congiunzioni o sfide con la pericolosa compagna di strada che è la fotografia. Mi disturbava il fatto che le nature morte di Wolfango, eseguite alla perfezione, però si appoggiassero un po’ troppo a piani di base, per cui il realismo si diffondeva anche agli sfondi, mentre semmai, oggi si possono accettare soluzioni del genere se appoggiate a una sorta di “sharp focus”, per dirla nel gergo fotografico, disposto a isolare le immagini, a fargli il vuoto attorno, accettando anche di sollevarle dalla superficie per acquistare una terza dimensione, con illusionismo sempre più spinto. Si pensi alle soluzioni del tutto accettate e compatibili con i nostri gusti fornite dai poliuretani di Gilardi o dalle ceramiche del duo Bertozzi e Casoni. Insomma, la “high fidelity” oggi è stata sdoganata e largamente ammessa. Wolfango ha compiuto un passo avanti in questa direzione dato che, nella Sala ottagonale al secondo piano di Palazzo d’Accursio, espone “Le 4 stagioni. Concerto per frutta e verdura”, dove gli annunciati ortaggi e frutti e pesci e carni, e cioè tutto il classico repertorio delle nature morte, si sollevano a mezz’aria, staccano gli ormeggi da sfondi che pretendevano di trattenerli, di vincolarli a piani d’appoggio, e volteggiano liberi, come presi da un moto centrifugo, o come se li contemplassimo mentre ci appaiono roteanti nell’oblò di una lavatrice automatica. Si aggiunga che questa loro acquisita leggerezza è accentuata dall’essere dipinti con ricorso ai pastelli, il che ne accentua lo svincolo da una pesante materialità, ne esalta il disegno rispetto alla sostanza. E almeno in un caso si dà pure la fuoriuscita dalla superficie, Wolfango si cimenta in una realizzazione tridimensionale di questi suoi fiori e frutta, che è il tratto finale di uno sganciarsi da vecchie e tradizionali impostazioni, accettando la sfida di chi appunto si cimenta in una realtà non più illusoria, ma concreta, tangibile.
Aggiungo che questa felice presenza di un anziano e reputato artista, seppure in una stanza di dimensioni ridotte, è un nuovo passetto in avanti verso quella destinazione finale a compiti museali che dovrebbe essere data all’intero plesso dell’Accursio, togliendone le Raccolte civiche dal loro non magnifico isolamento, e magari riportando in quei luoghi il cosiddetto Museo Morandi, e stabilendo un collegamento pure con la Sala d’Ercole, al piano di sotto, che procede pure essa nel compito di offrire, seppure a singhiozzo, valide retrospettive di nostri artisti. Riuscirà il presidente appena nominato Roberto Grandi ad affrontare una simile strategia di ampio e globale respiro?
Wolfango, Le 4 stagioni, a cura di Alighiera Peretti Poggi.
Non ho mai seguito l’artista che si firma Wolfango, ma ora che se ne festeggiano i novant’ani compiuti è giunto il momento che anch’io gli dedichi una dovuta attenzione, come del resto ho fatto riservandogli uno spazio, per quanto limitato, nella rassegna globale visibile al Palazzo Fava sulla “Bologna dopo il 1945”. A farmi prendere le distanze da questo artista non era certo il suo minuzioso realismo, sostenuto con un mestiere eccezionale. Oggi siamo pronti ad accogliere tutte le possibili declinazioni di un realismo accompagnato da una miriade di prefissi, “ir, iper, sur, meta, post”, ecc, declinazioni magari pronte a cercare tutte le possibili congiunzioni o sfide con la pericolosa compagna di strada che è la fotografia. Mi disturbava il fatto che le nature morte di Wolfango, eseguite alla perfezione, però si appoggiassero un po’ troppo a piani di base, per cui il realismo si diffondeva anche agli sfondi, mentre semmai, oggi si possono accettare soluzioni del genere se appoggiate a una sorta di “sharp focus”, per dirla nel gergo fotografico, disposto a isolare le immagini, a fargli il vuoto attorno, accettando anche di sollevarle dalla superficie per acquistare una terza dimensione, con illusionismo sempre più spinto. Si pensi alle soluzioni del tutto accettate e compatibili con i nostri gusti fornite dai poliuretani di Gilardi o dalle ceramiche del duo Bertozzi e Casoni. Insomma, la “high fidelity” oggi è stata sdoganata e largamente ammessa. Wolfango ha compiuto un passo avanti in questa direzione dato che, nella Sala ottagonale al secondo piano di Palazzo d’Accursio, espone “Le 4 stagioni. Concerto per frutta e verdura”, dove gli annunciati ortaggi e frutti e pesci e carni, e cioè tutto il classico repertorio delle nature morte, si sollevano a mezz’aria, staccano gli ormeggi da sfondi che pretendevano di trattenerli, di vincolarli a piani d’appoggio, e volteggiano liberi, come presi da un moto centrifugo, o come se li contemplassimo mentre ci appaiono roteanti nell’oblò di una lavatrice automatica. Si aggiunga che questa loro acquisita leggerezza è accentuata dall’essere dipinti con ricorso ai pastelli, il che ne accentua lo svincolo da una pesante materialità, ne esalta il disegno rispetto alla sostanza. E almeno in un caso si dà pure la fuoriuscita dalla superficie, Wolfango si cimenta in una realizzazione tridimensionale di questi suoi fiori e frutta, che è il tratto finale di uno sganciarsi da vecchie e tradizionali impostazioni, accettando la sfida di chi appunto si cimenta in una realtà non più illusoria, ma concreta, tangibile.
Aggiungo che questa felice presenza di un anziano e reputato artista, seppure in una stanza di dimensioni ridotte, è un nuovo passetto in avanti verso quella destinazione finale a compiti museali che dovrebbe essere data all’intero plesso dell’Accursio, togliendone le Raccolte civiche dal loro non magnifico isolamento, e magari riportando in quei luoghi il cosiddetto Museo Morandi, e stabilendo un collegamento pure con la Sala d’Ercole, al piano di sotto, che procede pure essa nel compito di offrire, seppure a singhiozzo, valide retrospettive di nostri artisti. Riuscirà il presidente appena nominato Roberto Grandi ad affrontare una simile strategia di ampio e globale respiro?
Wolfango, Le 4 stagioni, a cura di Alighiera Peretti Poggi.
Non ho mai seguito l’artista che si firma Wolfango, ma ora che se ne festeggiano i novant’ani compiuti è giunto il momento che anch’io gli dedichi una dovuta attenzione, come del resto ho fatto riservandogli uno spazio, per quanto limitato, nella rassegna globale visibile al Palazzo Fava sulla “Bologna dopo il 1945”. A farmi prendere le distanze da questo artista non era certo il suo minuzioso realismo, sostenuto con un mestiere eccezionale. Oggi siamo pronti ad accogliere tutte le possibili declinazioni di un realismo accompagnato da una miriade di prefissi, “ir, iper, sur, meta, post”, ecc, declinazioni magari pronte a cercare tutte le possibili congiunzioni o sfide con la pericolosa compagna di strada che è la fotografia. Mi disturbava il fatto che le nature morte di Wolfango, eseguite alla perfezione, però si appoggiassero un po’ troppo a piani di base, per cui il realismo si diffondeva anche agli sfondi, mentre semmai, oggi si possono accettare soluzioni del genere se appoggiate a una sorta di “sharp focus”, per dirla nel gergo fotografico, disposto a isolare le immagini, a fargli il vuoto attorno, accettando anche di sollevarle dalla superficie per acquistare una terza dimensione, con illusionismo sempre più spinto. Si pensi alle soluzioni del tutto accettate e compatibili con i nostri gusti fornite dai poliuretani di Gilardi o dalle ceramiche del duo Bertozzi e Casoni. Insomma, la “high fidelity” oggi è stata sdoganata e largamente ammessa. Wolfango ha compiuto un passo avanti in questa direzione dato che, nella Sala ottagonale al secondo piano di Palazzo d’Accursio, espone “Le 4 stagioni. Concerto per frutta e verdura”, dove gli annunciati ortaggi e frutti e pesci e carni, e cioè tutto il classico repertorio delle nature morte, si sollevano a mezz’aria, staccano gli ormeggi da sfondi che pretendevano di trattenerli, di vincolarli a piani d’appoggio, e volteggiano liberi, come presi da un moto centrifugo, o come se li contemplassimo mentre ci appaiono roteanti nell’oblò di una lavatrice automatica. Si aggiunga che questa loro acquisita leggerezza è accentuata dall’essere dipinti con ricorso ai pastelli, il che ne accentua lo svincolo da una pesante materialità, ne esalta il disegno rispetto alla sostanza. E almeno in un caso si dà pure la fuoriuscita dalla superficie, Wolfango si cimenta in una realizzazione tridimensionale di questi suoi fiori e frutta, che è il tratto finale di uno sganciarsi da vecchie e tradizionali impostazioni, accettando la sfida di chi appunto si cimenta in una realtà non più illusoria, ma concreta, tangibile.
Aggiungo che questa felice presenza di un anziano e reputato artista, seppure in una stanza di dimensioni ridotte, è un nuovo passetto in avanti verso quella destinazione finale a compiti museali che dovrebbe essere data all’intero plesso dell’Accursio, togliendone le Raccolte civiche dal loro non magnifico isolamento, e magari riportando in quei luoghi il cosiddetto Museo Morandi, e stabilendo un collegamento pure con la Sala d’Ercole, al piano di sotto, che procede pure essa nel compito di offrire, seppure a singhiozzo, valide retrospettive di nostri artisti. Riuscirà il presidente appena nominato Roberto Grandi ad affrontare una simile strategia di ampio e globale respiro?
Wolfango, Le 4 stagioni, a cura di Alighiera Peretti Poggi.
Non ho mai seguito l’artista che si firma Wolfango, ma ora che se ne festeggiano i novant’ani compiuti è giunto il momento che anch’io gli dedichi una dovuta attenzione, come del resto ho fatto riservandogli uno spazio, per quanto limitato, nella rassegna globale visibile al Palazzo Fava sulla “Bologna dopo il 1945”. A farmi prendere le distanze da questo artista non era certo il suo minuzioso realismo, sostenuto con un mestiere eccezionale. Oggi siamo pronti ad accogliere tutte le possibili declinazioni di un realismo accompagnato da una miriade di prefissi, “ir, iper, sur, meta, post”, ecc, declinazioni magari pronte a cercare tutte le possibili congiunzioni o sfide con la pericolosa compagna di strada che è la fotografia. Mi disturbava il fatto che le nature morte di Wolfango, eseguite alla perfezione, però si appoggiassero un po’ troppo a piani di base, per cui il realismo si diffondeva anche agli sfondi, mentre semmai, oggi si possono accettare soluzioni del genere se appoggiate a una sorta di “sharp focus”, per dirla nel gergo fotografico, disposto a isolare le immagini, a fargli il vuoto attorno, accettando anche di sollevarle dalla superficie per acquistare una terza dimensione, con illusionismo sempre più spinto. Si pensi alle soluzioni del tutto accettate e compatibili con i nostri gusti fornite dai poliuretani di Gilardi o dalle ceramiche del duo Bertozzi e Casoni. Insomma, la “high fidelity” oggi è stata sdoganata e largamente ammessa. Wolfango ha compiuto un passo avanti in questa direzione dato che, nella Sala ottagonale al secondo piano di Palazzo d’Accursio, espone “Le 4 stagioni. Concerto per frutta e verdura”, dove gli annunciati ortaggi e frutti e pesci e carni, e cioè tutto il classico repertorio delle nature morte, si sollevano a mezz’aria, staccano gli ormeggi da sfondi che pretendevano di trattenerli, di vincolarli a piani d’appoggio, e volteggiano liberi, come presi da un moto centrifugo, o come se li contemplassimo mentre ci appaiono roteanti nell’oblò di una lavatrice automatica. Si aggiunga che questa loro acquisita leggerezza è accentuata dall’essere dipinti con ricorso ai pastelli, il che ne accentua lo svincolo da una pesante materialità, ne esalta il disegno rispetto alla sostanza. E almeno in un caso si dà pure la fuoriuscita dalla superficie, Wolfango si cimenta in una realizzazione tridimensionale di questi suoi fiori e frutta, che è il tratto finale di uno sganciarsi da vecchie e tradizionali impostazioni, accettando la sfida di chi appunto si cimenta in una realtà non più illusoria, ma concreta, tangibile.
Aggiungo che questa felice presenza di un anziano e reputato artista, seppure in una stanza di dimensioni ridotte, è un nuovo passetto in avanti verso quella destinazione finale a compiti museali che dovrebbe essere data all’intero plesso dell’Accursio, togliendone le Raccolte civiche dal loro non magnifico isolamento, e magari riportando in quei luoghi il cosiddetto Museo Morandi, e stabilendo un collegamento pure con la Sala d’Ercole, al piano di sotto, che procede pure essa nel compito di offrire, seppure a singhiozzo, valide retrospettive di nostri artisti. Riuscirà il presidente appena nominato Roberto Grandi ad affrontare una simile strategia di ampio e globale respiro?
Wolfango, Le 4 stagioni, a cura di Alighiera Peretti Poggi.

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