Eccoci dunque arrivati al grande giorno, alla prova della verità. Ai sostenitori appassionati come me del fronte del sì sono apparsi negli ultimi giorni fatti positivi e promettenti, come l’endorsement di Romano Prodi, uscito finalmente dalla da me deprecata condizione di “ignavo” dantesco, e anche Scalfari, nonostante i suoi continui tentennamenti, sembrerebbe essersi schiarato per il sì. In attesa del verdetto, tra poche ore, qui vorrei sottolineare l’enorme ipocrisia di chi ha preteso di minimizzare, per esempio dicendo, è il senso addirittura di un fondo del direttore del Corriere”, che Renzi “se l’è andata a cercare”, che cosa lo ha spinto a mutare la costituzione e a indire il referendum, ben sapendo che sarebbe stato soprattutto un sì o un no sulla sua figura? E’ incredibile che si consigli la prudenza, il “queta non movere”, o che si deprechi la spaccatura dell’opinione pubblica nazionale. Il desiderio di fare, di cambiare le cose dimostrato dal nostro premier è più che legittimo, sacrosanto, e gli ha conquistato un posto nella nostra storia, quale che sia l’esito referendario. L’altra insopportabile ipocrisia, di cui si è reso particolarmente colpevole il bifido, ipocrita, insopportabile Travaglio, è l’aver sostenuto la tesi della minimizzazione, della banale osservazione che lunedì 5 il sole sorge ancora, che nulla in sostanza cambia. E dunque, Renzi potrebbe, anzi dovrebbe continuare a fare il premier, come se nulla fosse successo. A Travaglio e ai vari soci dell’accozzaglia, non pare vero che così avrebbero in lui una sputacchiera, un pupazzo come da circo contro cui sparare le loro cartucce con crudele delizia. Non voglio neppure pensare che il no possa vincere, ma se così fosse, Renzi deve abbandonare subito il governo, lasciare che la genia informe dei suoi oppositori si barcameni a tirar fuori un ragno dal buco. Lui si tenga il controllo del partito, avvii una rivincita con un congresso, e da lì riparta, ma certo avendo davanti a sè un percorso difficile e incerto, e noi con lui.