Il viaggio virtuale della domenica oggi ci porta non lontano dai patrii confini,
in una delle città del Canton Ticino fiorite di musei d’arte, a Mendrisio, buona terza accanto a Lugano e Locarno, dove ora si può ammirare una rassegna completa del danese Par Kirkeby (1938). Egli è appartenuto all’ondata sorta a metà dei ’70 in piena rivolta contro il clima troppo rarefatto e “concettuale” della temperie del ’68, ma non è riucito a entrare nella pattuglia dei Neuen Wilden capeggiati da Baselitz e Kiefer, anche perché il tema di figura gli è sempre risultato estraneo. Ma ha sentito pure lui il bisogno di ritoccare terra, anzi, di immergervisi, andandola a cercare dove questa risulta più appartata e sotterranea, cioè nella profondità dei boschi o nell’intrico dei vegetali. Roba quasi da ricordarci l’Ultimo naturalismo dei tempi di Francesco Arcangeli, sorto vent’anni prima, ma sappiamo bene che l’arte, come ogni altro fenomeno culturale, vive di corsi e ricorsi. Anche in questo momento ne dobbiamo registrare diversi in atto. A inserire una nota di originalità nella sua arte, e anche a prendere le distanze da fenomeni del passato, interviene una frammentazione filamentosa, quasi che le zolle, gli strati di humus mantenessero le radici di piante, o li percorresse la ragnatela sottile e diramata dei rizomi, che come sappiamo serpeggiano tra le fronde del sottobosco leggeri e spiritati. Solo che si spingessero un po’ più avanti, avremmo quasi un tentativo di scrittura, con tangenza che arriva fino all’ondata dei “Writers”. Si aggiunga che talvolta questo fine reticolo si illumina, come se percorso da tubicini al neon, o irrorato da qualche liquido, di quelli fosforescenti con cui si prepara un corpo a qualche esame radiografico. In alternanza a questo lavorare di fino, quasi con aghi e lacci emostatici, Kirkeby riconosce momenti di ampia distensione, che però attendono invariabilmente di essere contrastati da qualche ostacolo, da qualche paratia frenante, tali però da rendere la visione più densa e concentrata. Accanto alla pittura, l’artista sa ricorrere con uguale abilità all’acquerello, con cui si evidenzia una sua tendenza al frammento, o meglio, a un prelievo per campioni parcellizzanti delle più vaste distese assicurate nelle tele. E c’è pure, interessante, una versione plastica tridimensionale, che però si guarda bene anch’essa dall’approdare alla figura. Sono le stesse zolle di terriccio, le escrescenze di vecchi tronchi bitorzoluti, prossimi a una macerazione e confusione nella foresta, che invece prendono tangenza, evidenza, ma sempre in versione scontrosa, scabra e tagliente, e sempre con l’aria di voler offrire una sorta di omaggio a un Informale ritrovato, rimbalzante attraverso di decenni.
Par Kirkeby, Dipinti, sculture, acquerelli 1982-2011, a cura di Simone Soldini. Mendrisio, Museo d’arte, fino al 29 gennaio.