Sono tentato di stabilire in questa sede una graduatoria tra chi è più “gufo”, cioè più assiduo e ripetitivo nell’emettere predicozzi sui vari temi di attualità intonandoli a pessimismo e catastrofismo. Nel settore antirenziano, forse il primo posto potrebbe spettare a Piero Ignazi, che nel suo fondo sull’ultimo “Espresso”, uscito venerdì 15 luglio, si frega le mani soddisfatto decretando che le azioni di Renzi, se Dio vuole, stanno scendendo, e dunque forse ritorneremo alla bella calma piatta dei governi che “slittano” davanti alle difficoltà, come succedeva prima che arrivasse il suo ciclone. Certo, qualche scossa c’è stata, le elezioni amministrative non sono andate nel migliore dei modi, ma neanche però nel modo catastrofico che proprio la coorte dei gufi ha fatto apparire, decretando un successo senza pari dei Cinque stelle, che invece c’è stato, ma a mosaico variabile, e del resto il Pd ha sofferto del calo fisiologico che per ogni partito al potere proviene da elezioni di “midterm”. Poi c’è stato l’attacco a Alfano, che certo non è di condotta limpida e irreprensibile, da buon politico nostrano ha concesso al “familismo”, ma sembra che dalla burrasca sia uscito immune, e anche la minaccia dei suoi compagni di parte politica, di ritornare a casa dalla madre berlusconiana, sembra al momento tamponata, la barca del governo procede, con una maggioranza che fin dall’inizio non è di puro e adamantino centro-sinistra, come pretendono i vari gufi della sinistra, bensì di “kleine-koalition”, alla tedesca in tono minore, e dunque non si vede proprio perché non dovrebbero starci anche i verdiniani. Ma soprattutto, contro il gufismo, è da apprezzare la determinazione di Renzi a tirare diritto, a non lasciarsi frastornare da predicazioni alla cautela e alla moderazione, come quelle che sono venute dalla inverosimile pretesa di spacchettare i quesiti referendari. Detto tra parentesi, perché il leader del Psi, Nenicini, ci si mette anche lui a frenare, a frapporre ostacoli? Perché non si decide a sciogliere il suo stesso partito, non ha capito che ora il miglior difensore della causa della socialdemocrazia è proprio il Pd in versione renziana, che dunque ogni sincero socialdemocratico dovrebbe difendere dai rigurgiti del paleomarxismo, degli orfani inconsolabili del bei tempi quando il Pci schiacciava sotto il suo tallone i poveri tentativi del parente povero di una sinistra aborrita e svalutata?
Un “gufo” in altro settore è un opinionista di rango del “Corriere”, Ernesto Galli della Loggia, perfetto erede di Giovanni Sartori, che ora tace forse perché ormai ultra-novantenne, nel predicare che la nostra cultura è inconciliabile con quella di matrice islamica. E dunque, che cosa si dovrebbe fare? Seguire le ricette di Trump o Le Pen o Salvini, erigere barricate, impedire l’accesso ai nostri sacri lidi di persone di fede mussulmana, e magari espellerle, se già presso di noi, o ghettizzarle, come si è fatto per secoli con gli ebrei, o obbligarli a portare un segno distintivo, come appunto si imponeva in stagioni sciagurate agli ebrei, o nel medioevo ai lebbrosi? Come non capire che il novanta per cento degli aderenti alla fede mussulmana vogliono vivere in pace con noi, e adottare il più possibile i nostri costumi? Non lo fanno ancora del tutto, ma è sorprendente che in questa cruciale materia non si seguano i sani insegnamenti del materialismo culturale. Noi occidentali abbiamo conseguito faticosamente i canoni della democrazia, e in particolar modo dell’uguaglianza tra i sessi, e la parità di diritti da concedersi alle donne, dopo secolari travagli, lotte che non si sono ancora concluse. Ma questo è stato possibile perché abbiamo avuto alle spalle la grande forza della rivoluzione industriale, con gli esiti connessi. Essa ha premiato i Paesi che l’hanno avuta per primi, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, poi, a distanza, non senza rigurgiti di segno contrario, Germania, Italia, Spagna. Da noi poi è esistita la spaccatura tra un Nord di pronta adesione a quella grande rivoluzione, e un Sud rimasto ancora legato a una civiltà contadina, da cui solo di recente sta faticosamente uscendo. Ebbene, non è un fattore religioso, a creare la spaccatura tra l’Occidente e i Paesi arabi, bensì il fatto che questi hanno alle spalle una economia agricola e pastorale. Bisogna sperare che anche presso di loro l’industrialismo faccia progressi, e vedremo allora che anche il costume cambierà, si avvicinerà progressivamente al nostro.