Letteratura

Wu Ming 2: un sentiero per metà valido

Il volto inverso, di una lunga, o quanto meno tenace infedeltà, è sempre stato da me rivolto al collettivo che si fa chiamare Wu Ming, da quando esso è sorto degli anni ’90, dandosi a industriose operazioni di “nuova epica”, per menzionare una classifica che li vede opposti a un “new realism”, cui aderisco più volentieri. Le loro rivisitazioni di momenti cruciali della storia, la Riforma protestante, le guerre di religione, la Rivoluzione francese, mi sono sempre sembrate aride, disperse in dettagli marginali da cui non ci si solleva verso un filo conduttore centrale. Unica eccezione, un romanzo firmato da Wu Ming 2, in collaborazione con Antar Mohamed, “Timira”, che invece mi è sembrato opera coraggiosamente intenta a cavalcare la storia recente, con arditi giochi di sponda tra l’Africa delle nostre colonie e una madrepatria matrigna e insensibile. Ora leggo che dietro l’appellativo di Wu Ming 2 si cela Giovanni Cattabriga, ma la notizia mi giunge nel momento in cui questo autore ha lasciato, non so bene per quali ragioni, i colleghi del gruppo e si presenta con un nuovo prodotto, “Il sentiero luminoso”, mettendo di lato un intervento di piena e dichiarata natura narrativa per visitare il genere già assai ben frequentato del viaggio compiuto a piedi, dandosi cioè alla “viandanza”, come viene detto con termine significativo. Cattabriga non è nuovo, nel praticare questo filone, in quanto dichiara un precedente “Sentiero degli dei”, peraltro sfuggito alla mia attenzione. Questo filone narrativo risulta già ampiamente frequentato proprio nel fertile terreno bolognese, dove infatti troviamo le avventure molto ingegnose consumate da Enrico Brizzi, che hanno il vantaggio di non affidarsi solo alla descrizione dei luoghi, con relative consonanze storico-culturali, ma di infilare nello spiedo nuclei di trama consistenti e invasivi, così da sfiorare l’intrigo poliziesco. Cattabriga disdegna un simile complemento o arricchimento, preferendo puntare tutto sulle risorse offerte dall’itinerario affrontato, che si snoda da Bologna fino a Milano, assumendo un compito difficile. Infatti i percorsi in pianura rischiano di apparire monotoni e desolati, a differenza di quelli in montagna, arricchiti da panorami che mutano ad ogni svolta. Per ovviare al rischio di una monotonia che il percorso prescelto potrebbe presentare, l’autore dichiara, con tratto felice, di trasformarlo in un “wikisentiero,” dove cioè la pochezza del dato paesaggistico è largamente compensata dall’abbondanza di riferimenti culturali di ogni tipo, alla storia, alla geologia, ai dati di carattere socio-economico. Del resto, tanti sono gli ostacoli che il nostro viandante ci tiene a dichiarare: difficoltà di procurarsi mappe, carte geografiche, senza rinunciare agli ausili che possono venire dalle visioni satellitari, dal ricorso a google e ad ogni altro aiuto proveniente dalla rete. Ma anche così, la “viandanza” deve fare i conti con la presenza di corsi d’acqua non denunciati dalla cartografia, tanto da dover trarre una morale da tutto ciò: non si creda che le percorrenze di pianura siano più facili rispetto a quelle montane. L’acqua è un ostacolo superiore, più insidioso, meno prevedibile di quanto incontrato su versanti collinosi.
Direi che per tre quarti questa viandanza si legge con piacere e adesione, anche per la possibilità di associarsi al viaggiatore, mettendo a confronto con lui quanto ci risulta da qualche nostra esperienza personale. E poi ci sono tante illuminazioni, di toponomastica, tanti dotti indietreggiamenti al passato. Ma man mano che procede verso la meta, sembra quasi che l’Autore sia preso da timore circa la natura esigua del suo intrattenimento, e allora decide di rafforzarlo con robusti inserimenti ideologici. Qui purtroppo si ripresenta l’”infedeltà” da me dichiarata verso l’intero gruppo, troppo “politically correct”, nel senso di un sinistrismo inossidabile, contro cui protesto regolarmente proprio in queste pagine, e la dissidenza operata dall’appendice “2” non la sottrae al carattere comune. Poco alla volta il nostro viandante dichiara tutta la sua ostilità ai grandi lavori, inveisce contro l’Alta velocità, ovviamente è un No Tav convinto, retrocede nel giudizio e nella condanna fino a Enrico Mattei, come se la scelta della nostra nazione effettuata attraverso di lui di sfruttare gli idrocarburi fosse stata un tragico errore. finoDa qui si giunge all’appendice dell’Expo, contro cui, beninteso, vengono indirizzati ironici sberleffi e contestazioni, mentre una piacevole adesione può continuare ad accompagnare l’attraversamento di cascine e rogge del buon tempo antico. Altro tema di uguale portata sociale è il continuo riferimento all’epopea partigiana, con puntuale ricordo di ogni luogo dove siano state eseguite sentenze di morte da parte dei tedeschi e dei repubblichini. Per carità, io non voglio certo dissociarmi da questo rito, anch’io partecipo di quei valori costitutivi della nostra Repubblica, ma anche qui c’è modo e modo di celebrarli, quello del Wu Ming di turno è un po’ troppo ossequiente, non concede nulla a legittimi sospetti e riletture, che magari riguardano uno dei nodi più celebrati di quel martirologio, l’eccidio dei Fratelli Cervi. C’è ormai la tesi che essi, essendo partigiani di parte bianca, vennero tacitamente abbandonati alla vendetta dei nazi-fascisti dagli intolleranti compagni di parte rossa. Del resto, basta leggere Fenoglio, per constatare quanto il panorama della resistenza fosse più animato e controverso, rispetto a certe immagini ufficiali che se ne danno. Niente da fare, quando un membro del sodalizio Wu Ming, anche se uscito dal branco, tocca la storia, diventa un conformista di sinistra. Meglio che il “wikisentiero” continui a insistere sul valore privato e personale della pur ammirevole performance compiuta.
Wu MIng 2, Il sentiero luminoso, Ediciclo Editore, pp. 286, euro 18,50.

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