Il fatto del giorno può essere lo sgradevole, inattuale, ingiustificato intervento del cardinale Bagnasco, alla testa dell’Episcopato nostrano, contro la legge, finalmente approvata, che regola le unioni civili. Fra l’altro, ma questo ovviamente Bagnasco and Co. non potevano saperlo, questa presa di posizione contrasta tristemente con la scomparsa di Pannella, di colui che è stato il paladino delle cause avverse, guidando il popolo italiano a respingere i reazionari rigurgiti curiali rivolti a cancellare il diritto al divorzio e all’aborto. Pare che l’esperienza non insegni nulla, la CEI vuole rinnovare sfide a suo tempo rintuzzate dalla sensibilità comune, in un’epoca in cui quella stessa sensibilità è andata oltre e oggi sarebbe sicuramente più ostile a quelle mosse. Che fra l’altro risultano del tutto sproporzionate, la legge appena approvata evita accuratamente di identificare le unioni omosessuali al matrimonio, il che appare del tutto opportuno, anche per rispetto del termine stesso di matrimonio e di quanto ha implicato nel costume e nella storia. Ma la parità di diritti tra le coppie omo e etero appare del tutto in linea con i nostri attuali standard di vita e di giudizio. E’ stato perfino accantonato il motivo della step adoption, anche se c’è da chiedersi se nel caso di un povero minorenne privo di uno dei due genitori il buon senso non indichi la via di affidarlo all’altro genitore superstite, anche se passato a praticare l’omosessualità, piuttosto che sbatterlo in un orfanotrofio, o metterlo in adozione. Ma a porre rimedio a questo stato di disagio potrà provvedere in via del tutto normale un giudice incaricato della tutela. Del tutto gratuita e infondata, poi, è la supposizione che questa legge apra la strada all’”utero in affitto”, non ve ne sono tracce, e sicuramente con questo parlamento un provvedimento del genere non passerebbe mai.
C’è però, in questo accanimento della CEI, un aspetto sconcertante che non è stato rilevato, perfino da Pannella che sul letto di morte ha scritto una epistola al “caro Francesco”. Non è che il nostro amato papa sta facendo il gioco delle due carte? A sé avoca gli aspetti magnanimi e generosi, tolleranti e aperti, riservando alla curia quelli antipatici e rancorosi. Ma non è lui il dominatore indiscusso del cattolicesimo? Si potrebbe obiettare che anche in ciò sta un aspetto positivo del suo pontificato, che lo vede fare un passo indietro rispetto all’angusto scenario italico, per entrare nei panni di una concezione globale. Ma proprio lui, fin dall’inizio, ha insistito nel fatto di essere prima di tutto il vescovo di Roma, e dunque quanto decide proprio l’episcopato in cui ha un ruolo così importante non gli può essere indifferente. Forse è questa la medesima ragione che gli ha consigliato di esprimersi in italiano, mentre assai più conveniente a una missione internazionale sarebbe stato che usasse lo spagnolo, seconda lingua nel mondo dopo l’inglese, e soprattutto la più parlata proprio dai fedeli del cattolicesimo di tutti i Paesi. E dunque, è tanto difficile per lui tirare per la gabbana l’irruenza di Bagnasco e soci, oppure sta al gioco, dietro cui, in definitiva, c’è anche una parte di adesione personale?
E non è un po’ troppo poco limitarsi a concedere ex cathedra alle donne solo un timido accesso al diaconato? Ho già detto altra volta che, pur da laico e ateo, non riesco a capire quale ostacolo teologico ci sia per la Chiesa l’accedere a una totale equiparazione uomo-donna, a cominciare dal sacerdozio. Cari osannatori di Papa Francesco, a cominciare dal semi-convertito Scalfari, non dovreste anche voi tirargli un po’ la gabbana in questo senso?