Si usa dire che il nostro Paese ha ottimi servizi di “intelligence”, ma la cosa non mi pare trovare conferma nelle pessime prestazioni che hanno dato nell’ormai annosa questione dei nostri due marines rimasti intrappolati in India, e ora nell’assai più spinoso affaire del povero Regeni. O diciamo più in genere che non c’è stata una buona collaborazione tra la “intelligence” e la diplomazia ai più alti livelli, lasciata a dibattersi senza assistenza e a infilarsi in tunnel senza via d’uscita, come appunto è il caso dell’attuale conflitto con l’Egitto. Evidentemente il richiamo del nostro ambasciatore è un gesto leggero, puramente simbolico, cui si può scommettere che nulla di concreto seguirà. Poi, che faremo, aboliremo il flusso turistico verso le spiagge felici del Mar Rosso? Bloccheremo un export che ci vede al primo posto con quel Paese? Ma così non faremo felici Francia e Inghilterra, pronte a sostituirci, e beninteso a dare a noi solo qualche conforto teorico sulla carta? Lo stesso si dica anche per gli USA, che nell’Egitto hanno il punto di frza nell’Africa mediterranea, e del resto noi stessi contiamo molto sulla collaborazione egiziana per sanare i guasti libici.
Che cosa avrebbe dovuto fare una “intelligence” abile e funzionale? Bisognava assolutamente capire in quale ginepraio Regeni si era cacciato, tanto da non meritarsi solamente una espulsione, o magari una brutale uccisione, consumata di colpo, bensì giorni e giorni di feroce e disumana tortura. Un simile trattamento si applica solo a chi si sia impadronito di segreti scottanti che gli si vuole estorcere. Se i servizi segreti che hanno catturato il malcapitato si fodero accorti di aver preso un abbaglio, non avrebbero proceduto a tanta efferata e sistematica crudeltà. Dunque, non era proprio possibile cercare di capire di quali tremende verità si era impadronito il nostro connazionale? E di seguito, mai possibile che sempre dei servizi “comme il faut” non conoscano i loro competitori dall’altra parte? Ovvero, essi avrebbero dovuto individuare quale ramo della repressione egiziana ha condotto la cosa, e a quale livello. Bisognava conrattare sottobanco, evitando l’inutile prova muscolare, con le alte sfere egiziane per sapere a quale livello ci potevano concedere qualche testa da condannare a parziale riparazione. Il problema resta, non si può pretender certo di far crollare il dittatore insediato al Cairo, bisogna accordarsi con lui o con qualche livello di potere, per concordare quale offerta riparatoria ci possono concedere per cancellare il torto subito.
Quanto alla vicenda dei due marines, era categorico che si dovesse impedire l’approdo della nave su cui erano di scorta in un porto indiano, bisognava prelevarli in tempo utile, arrestando la nave in attesa del trasbordo. Sono stati anche molto ingenui i nostri due, che avrebbero dovuto impedire, se del caso, armi alla mano, la possibilità di venire consegnati alle autorità indiane, dopo di che lo scenario che ne sarebbe venuto era del tutto prevedibile. E anche ora è inutile ricorrere alla prova muscolare, si dovrebbe trattare sotto banco per concordare un sistema di compensazioni, in denaro, in risarcimenti formali per ottenere la restituzione alla chetichella dell’unico ostaggio rimasto nelle mani di una potenza che, come tutte quelle che si considerano non abbastanza stimate a livello internazionale, si fanno forti di casi del genere per cercare di affermarsi.