Appena rientrato da Medellin, Colombia, parto per Bruxelles dove mercoledì prossimo 9 marzo sosterrò al nostro Istituto di cultura, col direttore Paolo Luigi Grossi, una conversazione su Pier Vittorio Tondelli. Confesso di aver provato, inizialmente, qualche dubbio se valeva la pena di affrontare il viaggio, anche se al giorno d’oggi divenuto di esigua entità, per andare a parlare di un vecchio cavallo di battaglia su cui a suo tempo, anche nel nome di un’amicizia personale, avevo speso le mie cartucce, ma poi mi sono ravveduto, concludendo che forse non c’è autore che più di Tondelli permetta di ripercorrere i sentieri della narrativa avanzata nel nostro Paese. Col ’68 si era esaurita la spinta propulsiva del Gruppo 63, posta in sintonia con la stagione di rinnovate speranze in “magnifiche sorti e progressive” corrispondenti al boom consumistico e al rilancio di un industrialismo produttore di merci, di nuova oggettistica, fenomeni partiti sul finire dei ’50 e i primi ’60. In fondo, quella stagione di pur cauti ottimismi era stata siglata alla perfezione dal “grande fratello” Umberto Eco con la sua formula secondo cui eravamo “figli di Nettuno”. Io per parte mia parlavo di una missione di normalizzazione, cioè di estensione quantitativa a macchia d’olio delle conquiste a suo tempo conseguite dai padri delle avanguardie storiche, ovvero da quanti costituivano, sempre nelle parole di Eco, una generazione di figli di Vulcano, poderosi operatori ma in un clima di isolamento. Gli anni ’70 erano stati di stagnazione, ma proprio Tondelli riapriva il discorso, con gli “Altri libertini”, non per nulla uscito proprio all’inizio di un nuovo decennio, degli ’80, in coincidenza con le sperimentazioni di Tommaso Ottonieri, che riusciva ad andare oltre i Novissimi, intuendo che non c’era più ragione di acquisire alla poesia nuovi materiali semantici, occorreva fare un uso più ampio, dispersivo delle parole, infrangendone la apparente unità data dal vocabolario, superando, in definitiva, il livello della scrittura per sfruttare ampiamente effetti di sonorità. Il tutto come esito della rivoluzione tecnologica del ’68, che aveva sconfitto le fiducie eccessive nell’uso e possesso degli oggetti, andando a scoprire condizioni di vita più povere, legate a un nuovo tribalismo, a un vivere nel “villaggio globale” predicato da McLuhan. In questo senso è molto indicativo il titolo che Tondelli dava alle sue cronache, attribuendole a “nuovi” libertini, si riferiva evidentemente al libertinaggio che era stato sviluppato da Arbasino e dai suoi “Fratelli d’Italia”, che era nel segno di una esuberante appropriazione di quanto veniva offerto da una società”affluente”, ricca di apporti in ogni campo. Ora invece il libertinaggio si faceva più duro, a livello di quelle che si dicevano “nuove povertà”, avvertite soprattutto dagli intellettuali, costretti alla disoccupazione, a grami stati di sopravvivenza, mentre d’altra parte si intensificava l’esigenza di giungere a inebrianti stati esistenziali, magari ricorrendo ai paradisi, artificiali, propiziati dal ricorso alle droghe. E anche la sessualità doveva allargarsi, venire praticata in tutte le direzioni. Dopo la generazione dei figli di Nettuno, di freddi, abili, cauti addetti ai lavori, ne subentrava una, mi capitò di dire, tipica di “figli di Eolo”, aperti cioè a sperimentare forme di vita oscillanti tra bagliori mistici e cadute depressive. Una situazione che, semmai, indietreggiava a ritrovare le crude documentazioni che erano state registrate nei “Gettoni” di Vittorini e Calvino, o nel cinema della stagione neorealista.
Dopo “Altri libertini” Tondelli si è dato a verificare una simile situazione di vita a contatto con l’orrore della chiamata alle armi, in “PAO”, ovvero “Picchetto armato ordinario”, che altro non era se non una estensione della medesima diagnosi, e denuncia di disagi, condizioni al limite, deprivazioni, torti subiti, angherie sistematiche, su cui, nell’”opera prima”, si era limitato a fornire alcuni bozzetti non sistematici. E dunque, era la perlustrazione di una pianura arida, di un grado zero, o meglio, sottozero, di una “morne plaine” solo a stento illuminata da qualche raggio di luce. Ma da quella piattezza desolata bisognava pure balzare fuori. Qui scatta il “secondo movimento”, per usare un suo stesso termine, che Tondelli inaugura nell’85, quando scrive “Rimini”, così facendosi iniziatore della svolta che poi sarà propria di tutti i suoi seguaci chiamati agli incontri di RicercaRE, a Reggio Emilia, lungo gli anni ’90, persuasi, anche a seguito del suo insegnamento, che da quel grado zero, di bassa, monotona registrazione di uno stato “etico”, si dovesse balzare fuori rivisitando una vecchia componente della narrativa, già a suo tempo sancita come primaria dall’insegnamento di Aristotele, la componente del “mytos”, ovvero della trama, contro cui si era abbattuta la squalifica da parte delle avanguardie vecchie e nuove, Ma era ora di riammettere quella vecchia signora. Ovvero, i miseri libertini potevano darsi da fare, entrando risolutamente nei panni del protagonista di questo romanzo, Marco Bauer, che tenta le vie del giornalismo, impegnato per definizione ad affrontare fatti grossi. In fondo, si riaffaccia una società affluente, e Rimini ne è il simbolo, patria del divertimento facile, dello sballo. Dall’inazione allo stato puro si passa a un attivismo travolgente, come stanno per fare i fratelli minori del Nostro, gli Ammaniti e Scarpa e Covacich che presto lo seguono, accompagnati da una forte presenza delle donne, Ballestra, Campo, Santacroce, Vinci. Il clima super-Pop della capitale del divertimento produce da sé avventure orride, funeste, e dunque basterà farsene cantori. Ovviamente Bauer si infila in tutte queste strade che portano a esiti cruciali, o invece qualche volta comici e salvifici. C’è un rappresentante del mondo omosessuale, Bruno May, che finisce vittima di un pestaggio, una brava tedesca che invece riesce a portare in salvo la sorellina persasi nei meandri della droga. Due cineasti concepiscono un progetto audace ed esilarante nello stesso tempo, quello di divenire produttori di un film facendosi finanziare attraverso una colletta di piccole offerte ricavate sulla spiaggia, da tenda a tenda. Ma soprattutto, in questo proposito di ritrovare le vie grosse della narrazione a tutto tondo, può servire il giallo, come quello che si cela nella morte di un onorevole che sfrutta il malaffare e le bustarelle, ma venendone poi bruciato a sua volta. Bauer entra nei fruttuosi panni del detective chiamato svelare gli intrighi che si celano nella misteriosa morte per annegamento dell’uomo politico compromesso fino al collo, ma poi scopre di essere stato a sua volta manipolato da chi lo ha inviato sul posto. Come dire che questa generazione, decisa a rimanere con le mani pulite e a fare i conti con un insuperabile “male di vivere”, si prende solo un passaggio, nello sfruttamento di intrighi giallo-polizieschi, ma infine preferisce ritornare allo stato di solitudine proprio degli “altri libertini”.
Consumata questa fase posta all’insegna del narrare a tinte forti e grosse, Tondelli ne concepisce la vanità e ne salta fuori, inaugurando un terzo movimento, per dirla col termine da lui stesso usato. Siamo all’ultimo suo prodotto, prima del silenzio e della morte, “camere separate”, in cui di nuovo egli gioca d’anticipo su una fase a venire, quella che verrà detta, nei nostri anni, dell’”autonarrazione”, anticipando su questa strada gli Scurati e Maggiani e Cordelli. Un Leo molto prossimo all’autore stesso si guarda allo specchio fornitogli da un finestrino di aereo e fa i conti con se stesso, passato, presente, futuro, rapporti, soprattutto omosessuali, con partner scomparsi, ma con i quali il legame era già divenuto difficile durante la loro esistenza, tanto da determinare la soluzione delle “camere separate”, come annunciato nel titolo. Il diario è minuzioso e al tempo stesso implacabile, come quando svolge un confronto tra un’operazione chirurgica a suo tempo subita e uno stupro volontariamente provocato e accettato da un “ragazzo di vita”. In conclusione, Tondelli ha presieduto, anticipato, guidato da lontano le più recenti stagioni della nostra narrativa, non c’è nessuno che più di lui sia stato generoso di proposte, non limitandosi a lavorare pro domo sua ma tracciando sentieri di larga percorrenza.