E’ già stata universalmente notata la forte presenza della ceramica in tutta l’arte attuale, presenza cioè di un materiale le cui origini si perdono nella notte dei tempi, e che fra l’altro accomuna in un ponte efficace la nostra area mediterranea con l’Estremo Oriente della Cina, e che nello stesso tempo riesce a combattere ad armi pari con l’invasione dei nuovi materiali tecnologici, come sarebbero le resine sintetiche. I materiali classici della tradizione, quali il marmo e il bronzo, sono in netto declino, quasi destinati alla scomparsa, il primo si salva solo in forma di polvere da immettere entro stampi, magari modellati con ricorso al computer. E dunque, ben venga una ennesima rassegna di prodotti ceramici, ora proposta dalla bolognese Fondazione del Monte, con forse troppo ridotta appendice anche al vicino Museo Civico Medievale. Sono ben lieto che a curare la rassegna ci sia Guido Molinari, mio valido socio in tante perlustrazioni sulle nuove frontiere della ricerca artistica, avendo al suo fianco una persona competente quale Matteo Zauli, degno figlio di uno dei maggiori ceramisti del passato, e promotore di tante iniziative a favore di questo materiale. Il tutto sotto la regia di Maura Pozzati, che sta portando la Fondazione del Monte a frequentare sempre più i perigliosi sentieri dell’attualità. Efficace anche il titolo della rassegna, “Terra provocata”, che pare essere ripreso da una idea di Marisa Zattini, attiva nel vicino territorio cesenate. L’aggettivo ci può servire anche per entrare in merito a una valutazione critica, infatti i due curatori non sembrano essersi limitati a chiamare in scena chi è solitamente abituati a valersi della ceramica, ma hanno “provocato” a cimentasi con questo materiale altri artisti abituati a esprimersi più di frequente con altri mezzi. Da qui viene quasi un criterio per classificare i vari partecipanti alla rassegna distinguendovi appunto i “soliti noti”, con sicuri exploits ceramici alle loro spalle, da chi invece si è lasciato tentare dall’occasione, magari a loro volta dividendo gli appartenenti a tale categoria tra chi nel cimento ha dato buona prova, e chi invece sembra averlo fatto come esercizio non del tutto rispondente alla propria migliore vocazione. Ovviamente nel primo caso emerge Lucio Fontana con un “Concetto spaziale”, anche se nel suo caso si dovrebbe avere più coraggio e rilanciare alla grande tutta la precedente fase “barocca”, esagitata, pre-informale, su cui invece i troppo prudenti critici delle nuove ondate preferiscono far cadere una specie di proscrizione. Ci sono poi gli infinitamente virtuosi Bertozzi e Casoni, maestri del “più vero del vero”, che potremmo considerare in gara con i prodotti ugualmente “high fidelity” di Piero Gilardi, e ci sarebbe da imbastirci sopra una bellissima tenzone tra la “dura” terra e la “morbida” gommapiuma. Ovviamente nella lista di questi super-adatti e anzi trionfatori nel ricorso alla nobile “faïence” spicca Luigi Ontani. Ma il vivo della presente rassegna sta piuttosto nell’andare a vedere chi, stimolato, anzi “provocato” dall’occasione, vi ha aderito d’impulso, magari pensando di non dare seguito a questo temporaneo coinvolgimento. In tale lista ci stanno bei nomi, come addirittura il multiforme Ilya Kabakov, ma anche Sisley Xhafa, che si presenta forgiando un minimale, quasi invisibile stecchino, o Adrian Paci, che dimostra come anche il linguaggio fotografico possa “piastrellarsi” in una mattonella, e lo segue a ruota Marco Samoré, artista ai suoi inizi molto promettente e ora alla ricerca di un ruolo, Multiforme anche è Alessandro Pessoli, che per sua e nostra fortuna non ha paura dei cibi forti, policromi, aggressivi, e ovviamente il ricorso alla ceramica lo aiuta su questa strada. Anche Luca Trevisani è tra gli emergenti che non temono di costeggiare il disordine di specie post-informale, tanto temuto invece da tutti i favorevoli a forme lustre, minimali, che ritengono sia vietato sporgersi, mettere carne al fuoco. Tra questi normalmente ci sarebbe anche Francesco Gennari, che però questa volta spreme le meningi, pardon, una specie di tubo della maionese o di sapone per barba ricavandone una bella colata tremolante.
Da misurare con la bilancia la proposta di Eva Marisaldi, che consiste appunto in tanti piattini messi in bilico a soppesarsi tra loro, col che si conferma il suo amore per le superfici. Ritrovo nell’amico sudcoreano T-Yong Chung la sua abitudine a comportarsi come Pollicino, a lasciar tracce del suo passaggio. Questa volta ha perso per strada dei lustri stivaletti, inutile tentare di raccoglierli e rimetterli in ordine.
Infine, diciamolo pure, ci sono alcuni partecipanti “grandi firme” che non so se abbiano fatto bene a stare al gioco, ad accogliere la “provocazione”. Per esempio, il minimalista Liam Gillick non mi pare che si trovi a suo agio a voler affidare le tese e snelle geometrie di cui di solito si vale a un denso e pesante strato ceramico che ne tradisce la leggerezza progettuale. Alberto Garutti ama sorprenderci, appare capace di tutto, come sarebbe, in questo caso, il mettersi nei panni di un confezionatore di statuine devozionali. E Ai Wei Wei, da buon orientale, è enigmatico, imperscrutabile quanto all’uso che assegna alla sua collana, o non piuttosto catena per imbrigliare qualche ostaggio?
Trerra provocata, a cura di Matteo Zauli e Guido Molinari, Bologna, Fondazione del Monte e Museo Civico Medievale, fino al 20 marzo, cat. Corraini.