Ernesto Jannelli
Seguo da tempo il lavoro di Ernesto Jannelli, ricordo che da Cortina, dove di solito trascorro le mie vacanze estive, ero andato ad Auronzo giusto perché avevo letto che in una nostra locale era presente una di quelle opere volutamente esagerate con cui allora Jannelli si presentava. Fui poi molto contento di riuscire a inserirlo nell’Aperto della Biennale di Venezia 1990 in cui rappresentavo gli artisti italiani. La sua caratteristica è di fondere in due le sue opere portando a coesistenza realtà diverse. Opera tipica, una mela che per metà reca incistata entro di sé una memoria elettronica, e così natura e iper-tecnologia vengono a convivere. In un’opera recente la sinergia si stabilisce tra un pianoforte, che può essere anche il supporto di una roulette, con una curvatura innaturale che ne fa una strada curva, un oggetto irreale prodotto di pura fantasia Questo procedere su doppie entità mi ricorda un artista come Pistoletto, a parte le dimensioni, Jannelli mi pare che da tempo abbia scelto di agire su minuscole, quasi da tavolo, mentre l’asso del poverismo preferisce le scale monumentali, ma in ogni caso c’è molto spirito di scoperta nel nostro artista, sesso di doppiezza, di ubiquità insolite, imprevedibili, innaturali, una sorpresa continua che non sappiamo da quale parte ci arrivi per movimentare la nostra attesa.