Una volta tanto sono d’accordo con un articolo comparso sull’”Espresso”, a firma Pierluigi Ciocca, autore che a dire il vero confesso di non conoscere, Il titolo è eloquente: “Ma quale Jobs Act”, bisogna investire”. I pochi che mi seguono forse hanno notato che nella mia convinta accettazione del renzismo a suo tempo avevo proprio manifestato dubbi sull’efficacia del Jobs Act in quanto rivolto a cercare salvezza dal male della disoccupazione giovabile puntando tutto sulla ripresa di assunzioni da parte dei privati, trascurando invece un ruolo pubblico, cioè investimenti da parte del governo, sia quello centrale, sia a cascata quelli delle regioni, dei comuni ecc. Credo che la stella polare su questa strada sia indicata da Keynes e da Roosvelt: nei momenti di grande crisi tocca alle istituzioni pubbliche intervenire, investire, come appunto è titolato nell’articolo di Ciocca. L’autorità centrale, insomma, deve assumere un ruolo diretto, senza confidare troppo in una sollecitazione indiretta dei privati, dato che questi ultimi sono liberi di assumere oppure no, e se il cavallo non beve, non è che lo si possa costringere di forza a farlo. Credo che l’alta velocità di recente, e in passato il capitolo delle autostrade, siano stati esempi luminosi e positivi in questo senso So bene che questi interventi pubblici danno luogo a ruberie, a epidposi corruttivi, ma la loro presenza non è una buona ragione per astenersi dal battere queste vie, sarebbe come tenere reclusa una persona per impedirle di prendere delle infezioni circolando all’esterno. Nel mio territorio bolognese mi sono espresso di recente in favore della realizzazione del cosiddetto passante a Nord, cioè di un raddoppio dell’attuale ormai del tutto insufficiente tangenziale, e se me lo consentissero, sarei pronto pure a stigmatizzare il blocco del quartiere previsto dalle Cooperative in aperta campagna nei pressi del Comune di San Lazzaro. In altre parole, sono contro la linea dei Verdi, dei Notav e così via, ritengo che sia stato un errore sospendere la costruzione del ponte sullo stretto, e sarei perfino favorevole al rilancio delle centrali termonucleari, che restano in funzione in Francia, per esempio, a pochi chilometri dai nostri confini, avendoci fra l’altro come clienti per l’acquisto di energia elettrica che non riusciamo a produrre a sufficienza con pale eoliche e pannelli solari. Ovvero, credo che ci sia molta demagogia nella politica dei verdi, o molto gufismo pretestuoso e pregiudiziale.
Venendo poi a inserire qualche nuovo foglio in dossier già largamente impostati, e ritornando sulla questione che resta la principale ad assillarci, vedo con piacere che la comunità europea qualche passo positivo l’ha fatto, verso l’elaborazione di un piano ragionevole di accoglienza dei migranti. Fra altro, non si capisce l’accanimento con cui Ungheria, Cechia, Serbia, Croazia mettono ostacoli alla marcia dei poveri esuli, visto che non è certo loro intenzione fermarsi in quei paesi, ma procedere al più presto verso la terra promessa, la Germania. E quindi il buon senso vorrebbe che quegli stati fluidificassero al massimo lo scorrimento di quei poveri fuggiaschi, proprio per liberarsi della loro presenza.
Ma certo è ora di porre qualche freno a questa invasione, se non altro a tutela dei profughi stessi, che vediamo affrontare prove disumane in queste marce, particolarmente affliggenti quando vi sono sottomessi i bambini e le donne incinta. Come già osservato più volte, è facile prendere provvedimenti per chi viene via terra, per esempio si potrebbe davvero arrestare l’afflusso degli esuli dalla Siria dando alla Turchia i mezzi, in denaro e personale, per allestire dei grandi campi di raccolta e di soggiorno sul proprio territorio. Si potrebbe mettere alla prova quel paese e il suo noto desiderio di entrare nel consorzio europeo proprio chiedendogli in cambio di rendere questo servizio, magari congiunto a una concessione di basi per contrastare l’espansione dell’Isis, Quanto all’esodo via mare, mi pare che sempre l’Eurozona ha avuto il coraggio di affermare che bisogna bloccare le barche degli scafisti magari andando ad affrontarli nelle stesse acque territoriali della Libia.
Resta poi senza risposta quella finalità cui da tutte le parti ci si attacca, ma senza tentare di indicare in che modo vi si possa provvedere. Come distinguere davvero, nella messa dei fuggitivi, coloro che hanno alle spalle la guerra da quanti invece lo fanno solo alla ricerca di condizioni migliori di vita? E’ davvero possibile condurre questa cernita, e ancor più, ci sono davvero delle possibilità di rimpatriare coloro che risultassero mossi solo da ragioni di ordine economico? Dove e in che modo ricondurre questi disgraziati? Inutile agitare una soluzione senza nel contempo indicare le modalità secondo cui la si potrebbe realizzare.