Milena Palmieri
Viviamo una stagione narrativa molto modesta, se almeno devo stare ai ai più letti secondo i nostri supplementi letterari. C’è un tripudio di romanzi che recuperano il Sud e in anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, Il tutto sfruttando l’0alibi concesso da Tomasi di Lampedusa, che nel nostro Sus si finga di cambiare ma per lasciare le cose al punto di prima, Un conto però è pronunciare questa condanna nel nome di un serio romanzo storico come il Gattopardo, altra cosa farsene un alibi per narrarci storie che si ispirano a quei riti e vicende già fin troppo noti, come avviene anche nel romanzo di Milena Palminteri, che esibisce anch’essa uno di quei titoli accattivanti, Come l’arancio amaro, ma con ben pochi nessi con la vicenda che ci viene narrata, colma di postfascismi, di vicende mafiose, di innamoramenti e fecondazioni brutali, anche se la protagonista sarebbe addirittura una intellettuale, impegnata in archivi, ma non si riesce neppure a capire se sia figlia naturale o se sia stata adottata, mentre beninteso attorno a lei le fanciulle procaci fanno presto a cadere nelle grinfie di personaggi dal duro profilo, che naturalmente hanno fatto il salto della quaglia, passando da un fascismo supini a un adattamento ai tempi mutati. La vit scorre, ma sempre uguale a se stessa, o quanto meno così la fanno apparire questi narratori e narratrici che non vogliono staccarsi da quanto già scritto e prevedibile.
Milena Palminteri, Come l’arancio amaro, Bompiani, pp. 439, euro 20.