Stella
Mi giunge la triste notizia della scomparsa di Frank Stella, a 87 anni. Caso eminente di una conversione, da un rigore iniziale che ne aveva fatto un campione di arte analitica, o di Op Art, caro quindi alle prospettive dell’amico e nello stesso tempo rivale Filiberto Menna, con dipinti ben squadrati, quasi da diligente scolaro che traccia sulla superficie un reticolo di assi rigorose, o simula motivi da cornice, a una svolta nei suoi ultimi anni, per cui quel riquadro fin troppo ordinato e razionale si era come contratto, arricciato, afferrato da delle contorsioni che me lo avevano reso caro. Una svolta clamorosa, da mettere in concordanza con quella di certi architetti, penso in particolare a Zaha Hadid che pubblicava a sue spese sui giornali il detto fatidico “chi ci dice che il mondo è rettangolare?” Una affermazione del genere valeva anche per l’ultimo Stella, di cui ho visto le opere nella mia ultima visita a New York non ricordo più bene in quale delle gallerei ora quasi tutte raccolte a Chelsea, suscitando da parte mia un giudizio pieno di entusiasmo, lo stesso che ho dedicato al ben più giovale Peter Halley, ancora in piena funzione, che anche lui ha lasciato da parte i suoi spartiti geometrici per darci piuttosto dei tappeti rutilanti di colori, come al seguito di un gusto orientale. E dopotutto anche Sol Lewitt aveva abbandonato i suoi tracciati rettilinei, affidati ad allievi scrupolosi, per darci dei nastri incurvati e anch’essi irrorati di forti note cromatiche. Insomma, vari segnali di chi prende nota che il mondo è curvo, regno di un fertile e provocante caos, come del resto aveva predetto Einstein. E dunque rendo omaggio all’ultimo Stella per i suoi nodi sapienti e ghirigori avvolgenti, che ci cingono, ci nutrono, ci alimentano