Le ballerine di Rodin
Non ho mai ben capito per quale ragione a Milano Il MUDEC si sottragga a una utile destinazione di museo d’arte, a integrare quanto di solito si vede in Palazzo Reale. Sta di fatto che in questo momento vi si può ammirare una serie di ballerine modellate in terracotta da quel talento multiforme che è stato Rodin, in genere troppo solido e massiccio, troppo michelangiolesco per venire arruolato pacificamente nei ranghi dell’arte contemporanea, soprattutto quando si produce nei temi più impegnativi, I borghesi di Calais o appunto le porte dell’Inferno. Ma, soprattutto verso la fine della sua carriera spunta in lui un talento più agile che tende la mano verso i temi della Secessione, con disegni liberi che possono avere ispirato addirittura un genio che andrà più lontano, Paul Klee. In questo ambito di soluzioni innovative e scapricciate stanno proprio le ballerine che ora si possono ammirare al MUDEC. Si dirà che il suo è un tentativo estremo di gareggiare con Degas nello stesso tema, ma quest’ultimo nelle sue ballerine è raccolto, plastico, non immemore delle regole del realismo anche se di specie impressionista. Mentre Rodin, sfruttando il materiale plastico, fa fare alle sue ballerine dei volteggi arditi, porta i loro corpi a intrecciarsi in pose ardite, talora addirittura indecifrabili nell’intrico di gambe e braccia, Insomma, se le ballerine di Degas studiano il buon manuale della danza classica, quelle di Rodin sembrano già voler annunciare le mosse più ardite della danza contemporanea, superando in ardimento il rivale, che pure sembrerebbe più corazzato in materia. E beninteso non c’è in Rodin il ricorso a quella soluzione degasiana che sta nel prendere di petto le singole danzatrice, quasi afferrandole all’arma bianca, forse per sopperire al crescente suo difetto alla vista. Insomma, mentre in Degas il decorso è prevedibile, anche perché ben lo conosciamo, quello di Rodin è pronto a sorprenderci, quasi che lui per primo fosse stanco del ruolo ufficiale che la retorica monumentalista del tempo voleva assegnargli, imprigionandolo in un ruolo fisso a cui voleva sottrarsi