In morte di Pazzi
Il 2 dicembre scorso è morto Roberto Pazzi, e sono rimasto molto deluso dal poco spazio che gli ha dedicato la stampa, appena un trafiletto, invece che un articolo a tutta pagina. Brutto campanello di allarme, per quanti sgomitano per avere un ampio spazio al proprio decesso, e confesso che io sono tra questi. Un guaio della morte è che, temo, non si potrà dare una sbirciatina al modo come si è trattati nell’ora estrema del trapasso. Roberto è morto sulla breccia, infatti poco prima mi aveva fatto giungere la sua ultima fatica, La doppia vista, immaginando che, come in tanti casi precedenti, io non gli avrei fatto mancare una recensione, in genere positiva. In quest’ultimo romanzo, poi, il titolo era del tutto giustificato, in quanto Roberto vi aveva alternato le sue ingegnose invasioni di temi del passato, qui addirittura di Galla Placidia, S. Francesco, Ludwig di Baviera, con confessioni su temi familiari, dove fra l’altro domina su tutti l’immagine del padre, assieme a quello di una sorella. Fosse ancora vivo, ci sarebbe da chiedergli perché abbia così trascurato la madre, a cui invece i maschi per tradizione dovrebbero sentirsi più legati, Questa doppia pista mi ricorda lo stratagemma adottata da una terza maniera di Robbe-Grillet, quando mescolava temi di un romanzesco smaccato, volutamente kitsch, a improvvisi ritorni al presente e all’attualità. Devo confessare che in definitiva la mia preferenza andrebbe al Pazzi che si calava per intero nelle sue ricostruzioni di scenari del passato, peraltro non certo prive di richiami all’attualità, in cui emergevano, magari sotto falso nome, Berlusconi e altri personaggi ben presenti nelle nostre cronache. E poi ci sarebbe da ricordare anche il Pazzi poeta, una prerogativa cui non voleva certo rinunciare, tanto è vero che se non sbaglio, nel nostro ultimo incontro io mi ero impegnato a cercare di stabilire una chiave unitaria capace di tenere insieme i due volti dell’autore. Del resto, proprio come poeta, seguace di Vittorio Sereni, conosciuto nella sua adolescenza in cui assieme alla famiglia frequentava la Liguria, scenario più consueto a Sereni, si era presentato alle lezioni di Anceschi, di cui ero assistente, con qualche mio fastidio e senso di ripulsa, sia perché non sono mai stato un seguace della poesia, sia perché questa, nella versione di Sereni, mi sembrava molto tradizionale. In seguito, quando mi ero messo ad apprezzare in Roberto il narratore, nelle mie presentazioni scritte o orali avevo cercato di espungere questa presenza in lui della voce poetica, ma incontrando sempre una smentita da parte sua. Il nostro ultimo appuntamento avrebbe dovuto essere a Milano, Biblioteca Sormani, ma l’epidemia dilagante di Corona virus aveva cancellato la possibilità di quell’incontro in cui forse saremmo riusciti stabilire la formula perfetta della coesistenza in Robeerto del poeta e del narratore.
Roberto Pazzi, La doppia vista, La nave di Teseo, pp.203, euro 19