Apprendo dal solito Artribune che Diego Soldà ha una mostra ad Arzignano. E’ un artista che, da quando l’ho conosciuto, ho seguito con piacere invitandolo a varie collettive da me curate. Lo si può accostare a un geologo che faccia dei prelievi da rocce stratificate, mettendone in luce i diversi giacimenti, diversi per natura chimica ma soprattutto per colore, il che ne fa dei favolosi aggregati policromi. Bella anche l’effetto informale, quasi brutale, con cui Soldà, nel praticare questi prelievi, ne lascia liberi, smarginati gli orli. In lui c’è davvero un ingegnoso sfruttamento delle risorse della natura a un suo stato greggio, un’abilità nell’impadronirsi di certe libere creazioni, se si vuole, del caso, di cui però l’arte dei nostri giorni è pronta a valersi. Fra l’altro, a questo modo Soldà riesce pure a produrre una utile ambiguità tra le due e le tre dimensioni. I suoi sono dei dipinti, o invece delle sculture, delle opere plastiche, tridimensionali? Si sa quale sia stato un problema sempre aperto nei secoli per la scultura, se lasciarla in bianco, o in monocromia, affidata al colore, anzi, al non-colore uniforme del materiale usato, o se invece imprimerle una colorazione. Attraverso la sua maniera peculiare, Soldà sembra risolvere il problema già in partenza, conciliando proprio le due possibilità in quei suoi mono-blocchi dallo statuto ambiguo, sospeso appunto tra le due e le tre dimensioni, con i relativi pregi, Insomma, una soluzione ingegnosa, che poi lui riesce a sottoporre a numerose varianti, ma ritornando sempre a quel suo nucleo costitutivo di fertile ambiguità.
Dego Soldà, La Cava delle nuvole bianche, a cura di L.M. Barbero, Arzignano, fino al 2