Il Palazzo Ducale di Venezia dedica una mostra a un artista che rappresenta per qualche apsetto un genius loci dell’intera Serenissima, Vittore Carpaccio. Pare incredibile, ma di lui non è certa la data di nascita, leggo che oscilla tra il 1455 e il 1465. Nel primo caso sarebbe in media con altri esponenti di quella che il Vasari, mia guida in ogni ricognizione di carattere storico, definisce come “seconda maniera”, di talenti tra cui anche il Perugino, che anche lui in questo momento viene festeggiato per una ricorrenza biografica. Se invece Carpaccio fosse nato una decina d’anni dopo, la sua posizione di anacronista risulterebbe aggravata, rispetto al profilarsi della decisiva “terza maniera” o “maniera moderna”, con un Giovanni Bellini a fare da famoso pontiere aprendo la strada a Giorgione e a Tiziano. Ma inutile fare il suo nome, nel caso di Vittore, che è un paziente incasellatore di figure in un specie di pallottoliere ben scandito, con trionfo di uno spirito analitico e descrittivo. Forse i dipinti che meglio funzionano da suo biglietto da visita sono quelle immagini della laguna divenuta una sorta di specchio compatto, come per effetto di una gelata, di quelle che consentivano addirittura di fuggire dalla Serenissima affrontando a piedi la distesa delle acque, piatte, compatte come una lastra di vetro. E su quel piano sconfinato il Carpaccio colloca prudentemente le imbarcazioni che lo solcano in obliquo, quasi per paura di incidere profondamente in quelle acque calme, che le sorreggono come fossero dei ninnoli da tavolo. Un altro dato caratteristico sono i copricapi dei dogi che si spalancano a occupare spazio, per risparmiare al pittore di dover affrontare problemi prospettici a cui non è preparato. Ma conta soprattutto quel fitto mosaico di figurine, per feste e altri riti collettivi, ognuna di loro posta nel luogo che le spetta. In fondo, questa medesima diligenza pulita e meticolosa la ritroveremo un secolo dopo nel Canaletto e nel Bellotto, mentre il Guardi ha conquistato i suoi titoli di nobiltà agitando quelle acque morte e coprendole di caligine. O vogliamo addirittura arrivare al David. delegato da Napoleone del compito di fare un ritratto fedele della cerimonia nuziale con Giuseppina, dove la folla dei dignitari è stata posta come in un sistema di assi orizzontali e verticali. Questo appunto il limite del Carpaccio, non c’è in lui la terza dimensione della profondità, tutto si gioca in primo piamo, come su un tavolo da gioco dove per le fiches c’è solo la collocazione sulla superficie. Ma ci vuole perizia, per piazzare le fiches, le pedine al posto giusto.
Vittore Carpaccio, a cura di P. Humfrey. Venezia, Palazzo Ducale, fino al 18 giugno. Cat. Esseci.