Direi che Antonio Manzini ha fatto bene a fare un passo indietro rispetto al fronte del giallo in cui pure si è conquistato un posto di spicco col suo investigatore Rocco Schiavone, e conseguente inevitabile successo televisivo, Nel suo ultimo romanzo, La mala erba, in sostanza va a rivisitare un “piccolo mondo antico” di ambente meridionale, con tutti i suoi stereotipi, ma rinnovati da qualche innesto di temi e problemi sconosciuti ai tempi di Verga e compagni, comuni solo ai nostri giorni. Inoltre ha saputo infilare gli episodi della sua vicenda con un buon ritmo incalzante, quasi degno di Camilleri. I dati che certo non sorprendono e che vengono da lontano sono la presenza della miseria, in quello spicchio di terra, di cui in particolare è viìttima Enzo De Santis, costretto dall’incalzare delle sciagure a darsi la morte, lasciando a districarsi in questa valle di lacrime la figlia Samantha, anche lei tendenzialmente vittima di un destino a prima vista prevedibile e inevitabile. Infatti le basta appena un incontro sessuale con un giovinastro spiantato per rimanere incinta. Ovviamente in questo mondo crudele invano la ragazza tenta un matrimonio riparatore, venendo respinta nel modo più crudele dall’amante, del resto anche lui spiantato, senza avvenire. I guai, anche questo sta scritto in un copione tradizionale, si seguono a cascata. Samantha era piaciuta a un giovanotto perbene, che però anche lui si affretta ad abbandonarla appena sa dei suoi trascorsi sentimentali. Beninteso su questo mini-universo incombe un genio del male nella persona di Cicci Bellé, padrone di tutto, case, terre, affari, con cui taglieggia i poveri compaesani. Però anche lui ha un tallone d’Achille, e qui appunto si inserisce un tocco di attualità che invano cercheremmo nel repertorio del verismo tradizionale, Infatti questo rude e implacabile possidente ama alla follia il figlio Mariuccio, che è un down, capace di esprimersi solo attraverso una smodata attività sessuale che lo spinge a masturbarsi in tante occasioni. Il padre intravede una qualche attrazione che il figlio minorato prova per Samantha, a cui propone un turpe mercato, un matrimonio di convenienza col figlio, cui farebbe seguito una cancellazione totale dei debiti della famiglia di lei verso di lui, con trattamento di prima qualità verso la giovane disposta a sacrificarsi, possibilità di istruirsi all’università, e di andare a vivere nel maestoso palazzo di Bellé. Dalle retrovie ottocentesche balza fuori un altro rudere, nella persona di un prete di assalto, un Padre Graziano che non si frena certo nei suoi appetiti, compreso il sesso che fa procurandosi, anche lui un amato figlioletto. In una scena madre il turbolento sacerdote arriva a far fuoco su Bellé e figlio, dandosi poi alla fuga, inseguito come una belva dall’intero paese. Ma quel colpo d’arma da fuoco è provvidenziale per Samatha, che così si libera dal giogo matrimoniale che le è stato imposto col marito ebete. In seguito, disgustata dal comportamento dei maschi, preferisce darsi a un amore omosessuale con una compagna del cuore, approfittando di tutti i beni che le vengono in legittima eredità per effetto dell’infelice matrimonio che le è stato imposto. E così la vicenda si compie, ben calibrata, con le tessere che vanno tutte al loro posto.
Antonio Manzini, La mala erba, Sellerio, pp. 353, euro 15.