Mi sembra molto giusto che Gio’ Marconi ora subentri al padre Giorgio, impedito non so bene da quale infermità, ereditando i grandi nomi che avevano fatto la grandezza della casa paterna, lo Studio Marconi, tra cui un ‘intera squadra di Pop Artisti autonomi, di spirito europeo, al seguito delle proposte iniziali venute dall’Inghilterra, con Hamilton ai primi posti. E una decisa lontananza dagli esiti romani della Scuola di Piazza del Popolo, se si eccettua il numero uno di quella squadra, Schifano, che Marconi ha sempre esposto con molta cura. Tra questi Pop “all’inglese” potremo citare Valerio Adami, ma soprattutto Emilio Tadini, che del resto di Marconi padre era un influencer, un ispiratore, per il suo rango di squisito intellettuale, fra l’altro capace anche di fornire esiti letterari destinati a divenire via via più importanti, al punto che in una mia recente pubblicazione dedicata proprio alla narrativa del nostro secondo Novecento sono giunto ad accreditare a Tadini una forza non indegna del grande Céline. Ma come artista, negli anni Settanta, Tadini si distingueva per un segno sottile, quasi disimpegnato, di un protagonista capace di muoversi con scioltezza tra vari ostacoli, scavalcandoli con agili mosse. Le sue figure si distinguevano per l’eleganza degli abbigliamenti, con certi grigliati che valevano a distinguerne i profili, a renderli leggeri, efficaci, pronti a infilarsi nelle varie occasioni di un elegante vivere mondano, sapendo molto bene mantenere le distanze. Questo suo procedere con sagome sciolte, disimpegnate, lo distingueva dal compagno di squadra Adami, che invece ha sempre infittito il suo discorso, fornendo una specie di pavimentazione continua e quasi soffocante nell’ordito. Nella squadra c’era anche Enrico Baj, forse il più lontano da moduli di Pop Art, o quanto meno questa in lui assumeva volti barbarici, da spaventapasseri, da figure in maschera, volutamente grevi nel loro proporsi. E c’era anche Lucio Del Pezzo, che dalla Napoli originaria si era portato dietro un bottino di carabattole, dando loro un ordine, un carattere d rivisitazione di forme nobili del passato. Insomma, una situazione variegata, ricca di soluzioni alternative rispetto agli insegnamenti della Pop Art in stile newyorkese, cui invece si attenevano di preferenza i Romani. Questa libertà e varietà di conduzione tipica di Tadini e degli altri milanesi di casa Marconi trovava riscontri anche nella Pop di carattere torinese, con la quaterna di Gilardi, Nespolo, Mondino e infine Pistoletto, l’unico capace di districarsi da quegli esiti e di veleggiare libero verso l’Arte povera e oltre. Ma tornando a Tadini, bisogna riconoscere che egli sapeva muoversi con classe e disinvoltura estreme.