Arte

Caro Fabio, non credo che ci sia il ritorno di una linea analitica

Fabio Cavallucci è uno dei miei più cari e stimati amici, tanti sono i legami che mi stringono a lui. Ricorderò l’operazione parco di sculture all’aperto a Santa Sofia, Forlì. Luogo in cui si celebra anche il culto di Mattia Moreni, tema della laurea di Fabio. E quando è stato direttore del Pecci a Prato, non ha mancato di recuperare la mia mostra alla Biennale veneziana del ’72 dedicata al comportamento. Mi fa dunque piacere di apprendere che ora cura una mostra in una curiosa galleria di Bologna, di Enrico Astuni, dedicata a un programma perfino troppo avanzato, per una città pigra come il capoluogo felsineo. Forse volendo sorprendere la nostra attenzione, in uno scritto che accompagna la mostra ora in atto in quella sede, Fabio rispolvera un vecchio mito, quello dell’arte analitica che fu già la bandiera di combattimento di Filiberto Menna, dichiarandola ritornata di attualità. Col che risveglia una vecchia querelle che mi divise sempre da Menna, in quanto io ero e sono il difensore di un’arte sintetica. Per anni ci siamo giocati questa nostra rivalità endemica con garbo e ironia, mantenendo rapporti fraterni, e naturalmente vinse lui, io ho sempre perso ogni volta che mi sono impegnato in qualche duello, nel significato etimologico della parola, Ma contesto che l’arte analitica oggi sia di attualità, E’ vero che il trionfante “digitale” in Francia viene chiamato “numérique”, riconoscendogli una natura legata a formule matematiche, ma sappiamo bene che il digitale, o anche l’analogico, insomma il linguaggio elettronico, vale anche a registrare i mille aspetti della performance, arte sintetica come non si può di più, in quanto cumula in sé ogni aspetto sensoriale. Del resto, scorrendo la lista degli artisti presenti nella mostra Astuni, non è che ci siano i Castellani e Spalletti o altri tra quelli che sarebbero i più indicati ad attestare il il ritorno di una linea analitica. Ci trovo Paolini, caso mai capofila della mia ipotesi di una rivisitazione del museo, e poi Cattelan, che si vale di ogni mezzo per snocciolare le sue eleganti freddure, un ritorno dello spirito barocco in salsa attuale. E c’è perfino Tomàs Saraceno, magnifico campione di un’arte ambientale, dove mille lacci solcano e intrigano lo spazio, L’analisi insomma in questa rassegna non è proprio di casa, come spero non sarà neppure un’ospite favorita nei generosi progetti che l’intrepido Fabio sta ora concependo e di cui mi dà solleticanti notizie.

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