Anche Pupi Avati si è sentito in dovere di rendere il suo omaggio a Dante, al momento lo ha fatto con un’opera in cartaceo che forse più di altre sue cose precedenti funziona non del tutto in misura autonoma ma attende di essere inverata dalla produzione cinematografica, non fosse altro che per consentire di gustare i tanti pezzi di musica, tratti da tutti i tempi e stili, che accompagnano ognuno dei brani di questo lavoro, Forse qualcuno, dotato di una buona conoscenza in materia, può far risuonare dentro di sé queste sinfonie, ma non è certo il mio caso, privo come sono di un “orecchio” valido. C’è anche da notare che il romanzo, in realtà, è scisso in due parti abbastanza autonome. Il titolo, L’alta fantasia, ovviamente reminiscenza dantesca, è piuttosto vago, mentre il sottotitolo più esplicito, Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, costituisce solo una parte, e neppure la maggiore, sotto l’aspetto quantitativo. In realtà Avati, forse tallonato dalla concretezza del mezzo cinematografico in arrivo, nella parte preponderante ha sfidato il massimo biografo dantesco, o così si dice, il Barbero, e direi con vantaggio, dandoci ragguagli fedeli e verosimili dell’amore nutrito per Beatrice, un amore visto da lontano, che obbliga il poeta ad assistere, ma in disparte, sia alle nozze “vere” della donna idolatrata con un buon partito dell’élite fiorentina, sia alla sua morte, descritta nei termini crudi che anticipano quanto potrà essere reso con la cinepresa. E toccante, fedelmente riportata, l’amicizia che lega Dante a Guido Cavalcanti, da cui trae incoraggiamenti quando si trova alla battaglia di Campaldino. Anche su questo fronte il linguaggio pre-cinematografico di Avati consegue un vantaggio su quello soltanto verbale di Barbero. Poi c’è il dramma di un Alighieri che si fa strada, diventa addirittura priore di Firenze, ma in tale veste deve comminare l’esilio all’amico del cuore, costringendolo a stendere quella straziante ballata “Perch’io non spero di tornar giammai”, cui ha arriso una fortuna eccezionale, una traduzione letterale da parte di uno dei maggiori poeti del Novecento, Eliot, tanto che io stesso me la sussurro tra me e me: Because i do not hope to turn again. Ma l’effimera nomina al priorato è l’inizio del guai di Dante, che ne ricava la condanna a un esilio perpetuo dalla sua Firenze, e dunque le parole di Cavalcanti valgono anche nel suo caso.
Mezzo secolo dopo Boccaccio viene invitato a una missione riparatrice, andare a omaggiare il poeta nella tomba ravennate, e portare un saluto alla figlia, assieme a un gruzzolo riparatore dei torti che Firenze ha inflitto al suo grande figlio. Nell’occasione Avati cambia marcia, si ricorda per esempio di quella Gita scolastica dei nostri giorni, dove una scolaresca viaggia sull’Appennino cercando ripari di fortuna. Boccaccio, a distanza di secoli, è costretto a sperimentare anche lui disagi del genere, a conoscere viaggi non garantiti e avventurosi al massimo, fino al raggiungimento della meta.
Pupi Avati, L’alta fantasia. Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, Solferino, pp. 168, euro 16,50.