Seguo da tempo con pieno consenso l’attività di Alberto Tadiello, da quando l’ho visto per la prima volta sulle pareti dello spazio sempre intrigante e davvero sperimentale del museo di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, che adempie molto bene a una funzione di pronta scoperta, lasciando ai due spazi più istituzionali torinesi sia di Rivoli sia della GAM il compito di occuparsi di artisti già arrivati. Il tratto distintivo di Tadiello sta nel proporre una specie di orecchio pronto a captare suoni, ma anche a ritrasmetterli, adempiendo ai due compiti di ricezione e rinvio. Ora si presenta alla Galleria Di Martino, a Napoli, Nel frattempo i suoi tratti distintivi si sono perfezionati ed arricchiti. Ora questa concavità ricevente si può ispirare allo schema diventato tragicamente presente a tutti del covid, con quelle efflorescenze che lo costellano, non scevre di una bellezza diabolica, quale troviamo in certi frutti della terra avvelenati, funghi, spore. Oppure si può anche pensare a una corona di spine pronte per un sacrificio, o al contrario a costituire un festone per qualche ritto religioso, o anche a una vetrata gotica, frutto di sapienti incastri. Tadiello non tenta mai di nascondere la trama dei cavi che alimentano quei suoi orecchi protesi a captare armonie, o disarmonie cosmiche, e dunque una grafia ispida, come di una spoglia natura invernale, accompagna la radiosa comparsa dei suoi padiglioni auricolari, ispirati a una felice e piena rotondità. Il lineare e il circolare, insomma, si compongono in un ben assortito rapporto, talvolta puntando su effetti di accorpamento centrale e unificante, talaltra invece diramandosi in trame leggere e aeree. Comunque, ne vengono sempre ben assortiti duetti, in cui si rivela una originalità che trova continue conferme, pur nelle varie maniere di manifestarsi.
Alberto Tadiello, Clamydomas Nivalis, Napoli, Galleria Di Martino.