In questi giorni si è avuto un interessante testa-coda tra due stagioni ben diverse della nostra narrativa, accompagnate da tutte le strette connessioni con i relativi stati sociologici delle due età così diverse di cui la narrativa è ottimo specchio. Per un verso si tratta del recupero di un racconto dei lontani anni ’60, dovuto a Pina Rita Fo, dove il cognome non è solo una fortuita coincidenza, dato che questa quasi anonima e dimenticata scrittrice è stata proprio la madre del grande Dario Fo. inutile dire che il figlio è stato il primo a tradire, o addirittura a sbeffeggiare il gramo stato di natura su cui il libello della madre ha fornito una pur eccellente documentazione. Il suo “Paese delle rane” è un ottimo attestato dello stato di penuria, fame, miserie endemiche da cui era afflitta la nostra società prima che si verificasse il boom, il progresso industriale dei primi anni ’60, quando la penosa condizione agraria si è inoltrata invece in una prima accoglienza della società dei consumi, consentendo proprio al figlio Dario di farne la parodia con tanto ingegno. E poi è venuta Silvia Ballestra a caratterizzare una soglia ulteriore, quando la società dei consumi si è mutata in una corsa a goderne i favori, aperti soprattutto ai giovani che sciamavano verso il Nord per prendersi la loro fetta di sballo, di feste della droga e dell’eros, buttando via proprio quelle riserve timìde e prudenti che erano state dei padri, e soprattutto di nonni, legati ala civiltà dei campi. A questa invece è rivolta l’epica commossa condotta da Pina Rota, che si avvale dei dati più caratteristici della passata stagione – famiglie cariche di figliolanza, coi problema del vitto, magari dando ampio ricetto nella dieta giornaliera a un cibo povero e primitivo come quello delle rane. E un commosso coro di vittime, della Guerra e del regine postbellico, con l’elenco preciso dei guai che colpiscono la varia prole, e un accorato epicedio che segue la morte dei capifamiglia, nonostante la loro indomita robustezza. Viene da piangere nel seguire la serie interminabile dei lutti che battono alle porte di questi poveri casolari di campagna, portandosi via i capifamiglia, con le loro cocciute e compiaciute resistenze alle insidie dei preti che ne vogliono salvare malgrado tutto le anime recalcitranti. E’ uno spettacolo doloroso ma nello steso tempo amministrato in modi energici, autentici, che nulla concedono agli stereotipi del neorealismo di cui si erano impadroniti i vari Pratolini e Cassola. Bisogna quindi apprezzare pure l’impegno, morale, sociologico dimostrato da Silvia Ballestra, che pur appartenendo a tutt’altro scenario si china con commozione a dirci di quell’atomo, o palude, o isola del male di vivere di un mezzo secolo prima, proprio per chiudere un cerchio illuminante nel occare gli estremi.-
Pina Rota Fo, Il paese delle rane. Un romanzo di famiglia, Prefazione di Silvia Ballestra, Astoria, pp. 133, euro 14.