Sono intervenuto più volte, e con giudizio positivo, sui romanzi di Alessandro Piperno, dal primo che lo ha fatto conoscere, “Con le peggiori intenzioni, a “”Dove la storia finisce”, del 2016, ora mi pronuncio su questo recente “Di chi è la colpa”. E non ho neppure ignorato i suoi interventi saggistici consegnati alla “Lettura” del Corriere, e propiziati dalla sua collocazione di docente di letteratura francese all’Università 2 di Roma, Tor Vergata. Non so se abbia mantenuto questo ufficio, o se si sia interamente dedicato a un più prestigioso compito attuale di direttore dei “Meridiani” Mondadori. In linea di massima, diciamo che Piperno è uno dei migliori esponent di un “main stream” ora frequentato da tanti altri suoi colleghi e colleghe. Sul fronte femminile penso alla Ciabatti, cui non è mai andato il mio consenso, o a una Caminito, emersa all’ultimo Campiello, o a una Di Pietrantonio. Proprio per questa buona adesione a un canone di vita mediano, lontano dagli estremi, mi sembra che il titolo dell’ ultima prova di Piperno sia sbagliato. E’ proprio di questo stesso modo di condurre i giochi della nostra esistenza che non sia possibile chiedersi “Di chi è la colpa”. Molto più pertinente la citazione recuperata addirittura da Tolstoi, non so da quale sua opera, “Dove si giudica non c’è giustizia”, e azzeccata anche la riflessione che compare nel quarto di copertina, “E’ difficile accettare il pensiero di essere i soli protagonisti della propria vita”, una massima che consacra proprio il procedere mediano, ben bilanciato di cui questo romanzo dà continua prova, con un protagonista che ignora a lungo di provenire da una famiglia ebraica non priva di potere economico, di cui però egli scopre solo in ritardo i relativi vantaggi. Ma intanto avvengono i soliti drammi che turbano il diversamente pigro scorrere delle esistenze. Nasce un conflitto tra i genitori, con morte sospetta della madre, e accusa al marito di essere colpevole di uxoricidio, fino alla condanna e all’incarceramento, il che, in sostanza, provoca una sua totale assenza a fianco del figlio. Il giovane però trova un valido surrogato, una sorta di padre putativo in uno zio, fratello della madre, che forse è la figura meglio riuscita del romanzo col suo misto di pigrizia e di intraprendenza, una specie di avanti-indietro, di spingere sull’acceleratore o invece frenare, il che ha un effetto positivo sul nipote, talora incitato a compiere degli affondi, cui però seguono delle frenate, dei passi indietro. Tipico in questo senso un periodo consumato nella Città della Mela, tra sistemazioni fittizie, degne di una bohème scolastica o di primo apprendistato, e invece le possibilità più ricche, consentite da quello zio stravagante, procedente a velocità alterna, comunicando al pupillo degli stimoli che di conseguenza sono anch’essi di segno variabile. Una situazione di instabilità e di incertezza che però rende attraente la scena, rendendola folta di vicende, di ribaltamenti di situazione, dal positivo al negativo o viceversa. Tutto ciò si traduce fedelmente a livello di educazione sentimentale, attraverso rapporti, di nuovo, scoperti e nutriti in seno a una famiglia allargata, ma mai portati a termine, mai approdanti a una qualche conclusione. Quasi che il nostro docente di letteratura francese volesse davvero rendere omaggio all’”Education sentimentale” di Flaubert, cercando di attualizzarla, di farla scorrere in accordo con riti, modalità, circostanze quali si convengono al nostro costume attuale. Naturalmente ne viene una situazione di totale sospensione, col problema di come uscirne, di come dare un finale a questa trama dagli esiti molteplici e controversi. Nel romanzo precedente Piperno aveva deciso di tagliare corto, come del resto annunciava il titolo, “Dove la storia finisce”, ricorrendo a un attacco estremista che sopprime alcuni protagonisti riducendo così il numero delle incognite, dei casi ancora aperti. Questa volta l’autore rinuncia al ricorso a un qualche deus ex machina, i vari protagonisti vengono lasciati a loro stessi, il che senza dubbio contribuisce a dare più naturalezza alla vicenda, anche nel rispetto del modello flaubertiano, che già anticipava uno dei detti aurei che sarebbero poi stati enunciati dal nostro Pirandello, “La vita non conclude”, Questo in definitiva poteva essere un valido titolo per la recente prova del nostro autore.
Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, Mondadori, pp.434, euro 20-