Si sa di una mia inguaribile ruggine nei confronti di Achille Bonito Oliva, ma un suo articolo apparso su “Robinson” dello scorso 14 agosto mi aveva solleticato abbastanza per il suo titolo, “Non sparate sulle installazioni”, in cui avevo pensato di trovare un atto d’accusa sul trasferimento di tutta l’attività artistica di questi tempi sulla dimensione virtuale dei mezzi elettronici, quasi in parallelo con la famigerata DAD, la Didattica A Distanza, che ha funestato l’insegnamento scolastico ad ogni livello. O meglio, preciso, l’informazione telematica è senza dubbio uno strumento prezioso, io stesso in questi tempi di chiusura delle mostre, per scellerata decisione del ministro Franceschini, ho attinto abbondantemente da google e simili, che del resto mi forniscono informazioni e immagini su tanti operatori del nostro mondo dell’arte. Ma un conto è l’informazione, un altro il contatto diretto, quale appunto è assicurato dalle installazioni, forse il tratto dominante del contemporaneo, dai primi passi duchampiani col ready-made agli sviluppi del secondo Novecento fino al culmine della rivoluzione sessantottesca. E tra queste nuove possibilità ci sta senza dubbio la registrazione video, di cui io sono stato un pioniere fedele e assiduo. Ma a ben vedere ABO parla di video-installazioni, il che in definitiva è un ibrido poco convincente. In proposito devo denunciare una falsa idea, però sancita da google e da tanti altri repertori ufficiali, che danno a Nam June Pike il merito di aver inaugurato questa modalità operativa. La cosa è anche giusta, ma se un programma video viene usato come una cosa tra tante altre, da accumulare alla rinfusa in un pittoresco caos, come appunto faceva l’artista coreano a metà degli anni ’60, trattando il video come un oggetto “già fatto”, pescando tra programmi normali apparsi su qualche rete, Ben diverso è stato il video come registrazione proprio di una qualche installazione o performance, nel tentativo di preservarne tutta la fragrante e flagrante fisicità. Si aggiunga a tutto ciò una ricomparsa della vecchia signora pittura, seppure anch’essa secondo modalità “novissime”, che vanno dal Wall painting al graffitismo alla street art. Abo stesso ne sa qualcosa, se si pensa ai suoi Transavanguardisti, cui io sono subito pronto a comtrapporre i Nuovi-nuovi capeggiati da Ontani e Salvo, E sono appunto tutte modalità in cui l’intervento pittorico si congiunge spesso con aspetti installativi, distaccandosi da una piatta bidimensionalità. Questa provvida ibridazione tra tante maniere è la soluzione più interessante e vivace dei nostri anni, fra l’altro perseguita ormai in tutto il pianeta, ricca di esiti molteplici e piacevolmente polimorfi.