In coda al generoso tentativo di realizzare un Artcity, pur non avendo il traino di Artefiera, cui del resto ho dedicato i mei due ultimi pezzulli, si è posta anche un’ìmpresa messa in atto da uno spazio per me inedito, che inalbera il titolo propiziatorio di “Paradiso terrestre”, ben collocato in pieno centro, Via dei Musei 4, ma ahimè molto esiguo, poche stanze di un appartamento normale a un secondo piano, assolutamente non rispondente alle intenzioni del gestore, Gherardo Tonelli, che si dice ultimo allievo del grande Dino Gavina e in tale veste intenzionato di ricordare il celebre designer l’anno prossimo, che sarà il centenario dalla sua nascita. Si sa che il magnifico spazio creato da Gavina sulla via Emilia è stato prelevato, e in parte restaurato, dal collezionista bolognese Cirulli, che ne fa un uso ragionevole, non lontano dalle motivazioni da cui era mosso il suo stesso creatore. Suggerirei un’alleanza, tra il discepolo di Gavina e l’erede di suoi spazi, che sarebbe il luogo giusto per ospitare una mostra all’altezza dei meriti del designer bolognese. L’angustia di questo scarso “paradiso terrestre” penalizza la mostra che ora ospita, dedicata a Paola Pivi, artista che si è sempre segnalata per il carattere gigantesco dei suoi interventi. Io stesso ne vidi con stupefazione e ammirazione forse il più grande fra tutti, collocato in un enorme stanzone nei pressi della milanese Stazione di Porta Genova. Era un ricorso oltranzista al ready made duchampiano, in quanto la Pivi vi aveva accumulato vari ordini di prodotti, alcuni dei quali viventi, ovvero una sorta di stalla per ovini, caprini, gallinacei, cui faceva seguito una sezione dedicata invece a utensili teconolgici, quasi un cimitero degli elefanti di tutta la nostra strumentalità scaduta, andata fuori uso, pronta per essere abbandonata nei rifiuti. Un’altra impresa ugualmente ciclopica era stato il ricorso a mappe topografiche impostate su un rapporto uno a uno, a grandezza naturale nel rispecchiare i territori presi di mira. Infine ho pure ammirato una sua ulteriore operazione pur sempre nel segno del fare grande, anche se in definitiva più vicina all’ambito del design, una enorme colonna eretta nel cortile di Palazzo Strozzi, a Firenze, fatta di materiale plastico e colorata a fasce successive con tutti i colori dell’iride. Un’altra via per manifestare il medesimo bisogno di fare grande è stato anche il ricorso della nostra Pivi a una popolazione di orsacchiotti, cari ai sogni dell’’infanzia, rifatti in pelouche, consegnati a certi rosa svenevoli e leziosi, come è proprio degli oggetti di questa natura. Questi feticci sono stati disseminati liberamente dall’artista nello spazio, come per stabilirvi tanti punti di riferimento, quasi delle bricole in una laguna altrimenti aperta e sconfinata. E in definitiva proprio uno di questi orsi assolutamente artificiali, simili a oggetti trovati, buttati via dopo l’uso, ma da bambini di una popolazione di giganti, nella presente mostra si impone al centro di una bacheca, contornato da una cianfrusaglia di oggetti di scarto, come omaggio al trash allo stato puro, alla sua imprevedibile presenza, inutilità, fuori da ogni regola e possibilità d’uso. Questo l’aspetto, in mostra, in cui ritrovo lo spirito selvaggio, aggressivo della Pivi, mentre mi sembrano meno incisivi i suoi tentativi di ripulirsi, di entrare nella sobrietà e senso della misura di veri e proprio oggetti di design, anche se pur sempre caratterizzati da un pizzico di eccentricità, tanto per dare scacco matto a qualsivoglia pretesa di ordine e di regolarità. Chissà che ne avrebbe pensato e detto lo stesso Gavina, che però come tutti i veri talenti era anche lui imprevedibile nelle sue reazioni.
Paola Pivi, Rock the art, Bologna, Paradiso terrestre, fino al 30-9-21-