Letteratura

Banville, chi ha ucciso un sacerdote spregiudicato e senza legge?

Continuo a essere omaggiato delle sue uscite da parte della casa editrice Guanda, il che mi fa molto piacere, dato che così vengo a conoscere autori stranieri altrimenti a me sconosciuti. Questa volta si tratta di un irlandese, John Banville, quasi alla soglia degli ottant’anni, di cui confesso di non aver letto nulla. Le scritte di copertina usano per lui gli epiteti di “giallo” e di “noir”, ma lascerei cadere il secondo dei due, mentre è senz’altro giusto il primo, degno della migliore scuola del giallo internazionale, particolarmente caro alla cultura anglosassone, ora largamente importato anche presso di noi, ma in modi talvolta alquanto zoppicanti, privi della maestria che compare per esempio proprio in quest’opera. Dove la vittima è un sacerdote cattolico, tale padre Tom Lawless, di cui si può dire proprio, come vuole il proverbio, “nomen omen”, in quanto si tratta di un prete del tutto spregiudicato, bon viveur, gli piacciono il cibo e l’alcol, e anche le avventure sessuali, consumate però in una sfrenata pedofilia. Se si vuole, questo è l’aspetto più abusato, stereotipato del romanzo. Che mai ci si aspetta, da un prete cattolico, posto sotto gli sguardi severi di una cultura protestante, se non che sia uno sfacciato, impenitente pedofilo? Questa dunque è la causa effettiva dell’assassinio, cui assistiamo in diretta, in quanto è il protagonista stesso che conduce quasi una cronaca dei suoi ultimi istanti, dei dolori, delle sensazioni abnormi cui viene sottoposto. E abnorme è pure il trattamento inflitto al cadavere, che viene interamente evirato degli organi sessuali, chiaro indizio di quale sia la colpa che gli viene imputata e di cui ha pagato il fio. Ma l’indagine non è facile, per un pur solerte funzionario di polizia, altrettanto severo di costumi, smunto, allampanato, quanto invece la vittima su cui deve indagare era ben pasciuto, compiaciuto di tutti i possibili doni della vita, anche in contrasto con l’abito indossato, ma più spesso messo da parte per inseguire piaceri ben consistenti. L’indagine segue una routine d’obbligo, si sofferma sul padrone dell’abitazione in cui il crimine è avvenuto, durante una notte tipicamente invernale che non aveva permesso al Lawless di rincasare, costringendolo quindi a rimanere ospite, quasi ad attendere di ricevere il colpo fatale. L’indagine si allarga, dopo il padrone di casa tocca la moglie, quindi i due figli, e perfino la sorella del morto. Il tutto condotto in modi convincenti e verosimili, con particolare insistenza sugli aspetti di natura sessuale cui partecipano i vari personaggi, a conferma che il sesso è la rosa dei venti entro cui l’intera vicenda si aggira. C’è per esempio un capitolo, al solito reso in diretta, che ci fa assistere allo sverginamento della figlia del proprietario, una pur cocciuta e volitiva Lettice, ad opera di uno stalliere, tale Fonsey, E perfino il rigido, compassato poliziotto viene a sua volta aggredito da una cameriera, nell’hotel in cui sosta per seguire il caso assegnatogli, anche qui con tutti i crismi della concretezza, al punto che la donna smaliziata lo rimprovero di non praticato l’accoppiamento con lei munito di un opportuno preservativo. Il clou della vicenda si ha quando in una perquisizione condotta nella sommaria abitazione dello stalliere, niente più che un misero camper, l’ispettore scopre, malamente riposto in un contenitore di fortuna, il membro reciso al sacerdote. Da qui una conseguenza logica, che sia stato proprio quel dipendente a essersi reso colpevole del delitto, ma non ci sarebbe la maestria di un giallista navigato se la soluzione balzasse fuori subito al primo colpo. E del resto, non troverebbe seguito la pista dell’insidia pedofila così ossessivamente praticata dalla vittima. Naturalmente anche in questi miei appunti molto di fretta devo rispettare la regola di non deludere l’attesa dei lettori, sarebbe un colpo mancino inferto a un giallista di razza come il nostro Banville.
John Banville, Delitto d’inverno, Guanda, pp. 330, euro 19.

Standard