Letteratura

Canepa: una mancata tempesta

Mi fa piacere che Emanuela Canepa, alla sua seconda prova, “Insegnami la tempesta”, dopo “L’animale femmina” con cui nel 2018 aveva riportato il Premio Calvino per opere inedite, stia avendo un buon riscontro, ne ho visto apparire varie recensioni di tono positivo. Nel quadro del fertile scambio tra quel Premio e RicercaBO, assicurato dal presidente del Calvino, Mario Ugo Marchetti, la Canepa quell’anno era venuta al nostro incontro a leggere un brano della sua opera prima, ma, data la complessità di trama, era proprio un tipico caso in cui una lettura parziale non riusciva farci capire di che cosa di preciso si trattasse, comunque appariva già l’incongruenza del titolo, in quanto spiccavano in primo piano due presenze maschili, intuitivamente legate tra loro da un rapporto omosessuale. In seguito, uscito a stampa il romanzo, ne avevo potuto effettuare una lettura completa, e addirittura dedicarle una recensione, su invito dell’amico Marchetti, affidata all’”Indice”, ma nella sua versione on line, che a me appare, al pari di ogni altra destinazione del genere, come una sorta di bottiglia affidata al mare, chissà se mai riemergerà e qualcuno la raccoglierà. Comunque, avevo scorto che una presenza femminile c’era, balda, giovanile, pronta a contestare la prepotenza dell’”animale maschio”, che si era spinto fino al delitto. Di fronte a questa nuova prova, comincio col notare l’assoluta inadeguatezza del titolo, “Insegnami la tempesta”. Ma di quale tempesta si parla? Non ce ne sono i presupposti, perché scompare quel rapporto pugnace uomo-donna che vivacizzava il romanzo precedente, qui ci si trova tra “Donne sole”, quasi per dirla ricalcando Pavese, col tentativo della scrittrice di agitare le acque, ma a fatica. Che cosa ci può essere di più convenzionale e risaputo quanto una madre, Emma, imperiosa, decisa a comandare a bacchetta sulla figlia Matilde, a controllarne perfino la vita sentimentale, a vessarla in ogni modo, fino a provocare in lei una inevitabile ribellione? Infatti Matildea un certo punto non sopporta la prigionia morale cui la condanna la madre, fugge, ripara in un convento, dove incontriamo una figura del tutto simile a Emma, una Irene anche lei donna imperiosa, abituata a comandare, che poi, però, non si sa bene perché, compie il gran rifiuto, e nel modo più ferreo, andando a rinchiudersi in un convento di clausura, in un monastero di Clarisse, quasi come una Monaca di Monza, ma del tutto volontaria, forse però mossa dall’intento di continuare a dominare, seppure entro quella situazione disagiata. Ma perché la ragazza è fuggita, basta a spiegarne l’atto la pretesa di sottrarsi alla perversa dominazione materna? Confesso che per un momento ho pensato, anzi, sperato che ci fosse anche qui lo zampino di una presenza maschile. Infatti accanto a Emma c’è pure la figura di un secondo marito, Fausto, che dunque è nel ruolo di patrigno nei confronti della giovane e sofferente Matilde. Forse egli ha tentato di abusare di lei, consumando un atto, che peraltro non sarebbe propriamente parlando un incesto? Ma no, anzi, questo Fausto è l’unico a comprendere davvero la figlia adottiva, a mostrare verso di lei sentimenti di gentilezza e affezione. E dunque, nulla da fare, non c’è tempesta, ma bonaccia di sentimenti, routine psicologica. Mi pare proprio che la nostra Canepa abbia sbagliato a questo suo secondo appuntamento, speriamo che si rifaccia in prossime occasioni.
Emanuela Canepa, Insegnami la tempesta. Einaudi, pp. 240, euro 17,50.

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