Piero Deggiovanni (1957) insegna all’Accademia di belle arti di Bologna sia Arte contemporanea sia Storia e teoria dei nuovi media. Peccato che sia rimasto un diaframma a separare Accademie e Conservatori dalle Università, impedendo ai docenti delle une e delle altre istituzioni di scambiarsi i ruoli, in una sostanziale identificazione, nel quale caso sarebbe tanto utile che proprio il nostro protagonista potesse insegnare al Dipartimento delle arti dell’Università di Bologna. Fatto sta che è autore di una assai utile “Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020”, quasi un vademecum per accompagnare quanto proprio il Dipartimento, prima detto delle arti visive, poi più largamente delle arti, ha fatto di conserva organizzando a partire dal 2006 un viedoart yearbook, che in effetti si è valso proprio di tanti suggerimenti di nomi provenienti dal nostro valido dirimpettaio. E lo potrà fare anche in futuro, utilizzando molti degli artisti che compaiono in questa rassegna, non ancora da noi invitati. Mentre c’è consenso su altri ancora, e in questi casi appaiono eccellenti l’analisi e il commento con cui Deggiovanni li introduce, cosa quasi da trasportare di pari peso se fossimo in grado di ampliare a nostra volta un’antologia dei nostri Yearbooks che si è fermata solo ai primi tre anni di esercizio, per mancanza di fondi per andare avanti. Ma prima di tutto il libro del nostro autore parte con un’ampia inquadratura teorica, che per me è un invito a nozze, in quanto si rifà proprio al mio maestro Luciano Anceschi, e al suo insegnamento di flessibilità, per cui i fenomeni artistici si constatano sul campo, non certo per derivazione, per deduzione da qualche principio dogmatico. Infatti la videoarte esiste in pieno, affolla di sé tutte le Biennali di questo mondo, il che si deve proprio al suo carattere principale di ibridazione, di allegra mescolanza dei generi. In merito Deggiovanni parla di una “videodiversità” che ovviamente consuona con la biodiversità di cui oggi si riempiono tutte le prediche dei verdi, degli ambientalisti. Suo primo compito, infatti, è quello di muovere contro i “negazionisti”, contro coloro che appunto armati di dogmi pretendono di desumerne l’inesistenza di questo soggetto, proprio perché spurio, mescolato, bastardo. Questi teorici schizzinosi sono i degni seguaci del Don Ferrante manzoniano, che con puntiglio ossessivo pretendeva di dimostrare l’inesistenza della peste, finché non ne rimase vittima egli stesso. Deggiovanni mi fa l’onore di ricordare i miei studi di retorica, dove nel rivendicare l’attualità di questa disciplina che si riteneva deceduta, vittima dei rigori della logica analitica e simili, ho sempre menzionato l’importanza di una sua parte costitutiva, la “actio”, la gestone diretta, con tutto il corpo, con l’ausilio di tutte le doti sensoriali, per appoggiare al meglio e rendere credibili le nostre tesi. Cosa di cui le dimostrazioni analitiche di specie matematica non hanno certo bisogno. La “actio” è l’antenata diretta della “performance”, cui a suo tempo ho reso omaggio attraverso le Settimane internazionali ad essa dedicate, roba vecchia ormai di mezzo secolo, e non le rifarei, in quanto non è che oggi le performances non esistano più, ma al novanta per cento vanno a confluire direttamente proprio nella videoarte, assai più frequentabile, capace di una diffusione universale, e con mezzi rapidi e di poca spesa. Accanto alle precise osservazioni di portata teorica, il volumetto di Deggiovanni si caratterizza per una serie di letture molto aderenti di alcuni dei protagonisti della videoarte italiana. Ho già detto che nelle nostre future ricognizioni faremo tesoro degli artisti qui esaminati, finora sfuggiti alle nostre selezioni, ma ho letto con piacere e adesione quanto viene detto di alcuni dei nostri protagonisti. Per esempio, di Elisabetta Di Sopra viene lodata la pietas corporale con cui vengono visitati gli approcci nella vita dei sentimenti, bello il video che ha il titolo ambiguo di “con-tatto”, dove l’atto fisico, una carezza di un maschio alla sua donna, viene condotto con garbo per mascherare il fatto che lui ha solo un moncherino per poter accarezzare la compagna. Debora Vrizzi, una virtuosa per tanti aspetti, ci ha deliziato a suo tempo per una prestazione dedicata ai nonni ottuagenari, dove lui, furbastro, si vanta di aver cornificato con garbo la compagna, che sta al gioco, non lo denuncia. Oggi si griderebbe allo scandalo per il fatto che la donna accetta di fare un passo indietro, vedi le assurde accuse mosse al povero Amadeus, ma a quei tempi usava così, e del resto c’è una gratificazione per la vittima, che al temine del video viene assunta in cielo. Ottima la caratterizzazione delle prestazioni fornite da Alberta Pellacani, in cui “… la distorsione ottica allunga, scioglie, impasta, stira e confonde edifici, vegetazioni, acque e persone”. C’è posto anche per le denunce in chiave sociologica condotte da Marcantonio Lunardi, che convoca alla sua corte, solidi, monumentali artigiani, quasi scesi dalle sculture dei portali delle chiese gotiche. E attenzione viene riservata anche a Devis Venturelli, di cui il nostro abile antologista ricorda le origini da architettura, ma i suoi video sono rivolti a celebrare quanto di effimero, di transeunte avviene oggi nelle vie urbane, una specie di festa dei cenci, dei materiali deperibili, buoni però per ricavarne un volubile balletto. Non per niente proprio a lui pochi mesi fa abbiamo dato il Premio Alinovi Daolio del 2020. Ma continua l’indagine del Nostro sulla “videodiversità”, passando a celebrare il duo Basmati, Coianz e Saguatti, per i quali viene applicato un termine di grande efficacia, trovando che essi, invece di darci immagini continue, si concedono momenti “interstiziali”, lavorano cioè frammentando, scomponendo e poi ricompattando. Mentre un altro prodotto di pura finzione ci viene da Rita Casdia, che col pollice compone nella plastilina una intera popolazione di folletti magici, invitandoci a entrare in una Lilliput dei nostri giorni.
Piero Deggiovanni, Antologia critica della videoarte italiana 2010-2020, Kaplan, pp. 249, euro 20.