Vedo con dispiacere il triste destino dell’”Espresso”, costretto a sopravvivere solo come inserto obbligatorio all’interno della nave ammiraglia di “Repubblica”, fra l’altro costretto a rinunciare a quasi tutte le rubriche culturali, considerando che queste sono già espletate fin troppo dal supplemento “Robinson”. E dunque, anche Germano Celant, subentrato a me circa un ventennio fa, dopo che io avevo tenuto la rubrica d’arte per un quarto di secolo, è stato cancellato. Ora quel fascicolo è ridotto a una specie di esorbitante monologo del direttore Marco Damilano, peraltro presente a giorni alterni in tutti i possibili salotti televisivi. E capofila nell’esprimere sfiducia, disprezzo, ironia sul tentativo giallo-rosso, come se questo non fosse motivato dal gigantesco impegno di sbarrare la strada a Matteo Salvini, a impedire che un destrorso della peggiore specie si impadronisca del potere in Italia, da Piccolo Mussolini in sedicesimo. Proprio per questa ragione in queste mie inutili paginette avevo rievocato qualche domenica fa il “resistere resistere resistere” brandito da Saverio Borrelli ai tempi di “Mani pulite”. Certo l’avventura giallo-rossa, non è facile, è una via stretta, con rischi di interruzione ad ogni passo, ma sarebbe dovere di ogni credente nei valori della sinistra proteggerla, come si farebbe con un essere gravemente malato, di cui però si sente l’obbligo di tutelare la sopravvivenza, costi quel che costi. Ci sono ancora gli scoop che un tempo hanno costituito la gloria dell’”Espresso”, ma quello sul “brutto pasticciaccio” dell’aver tentato di incassare una super-tangente dalla Russia non ha portato a nulla. Siamo tutti sicuri che quel tentativo ci sia stato, ma altrettanto del fatto che non si sia concluso, e comunque non ha tolto a Salvini neppure un voto da parte del suo elettorato. Ora ci si accanisce contro l’eroe caduto nel fango, l’altro Matteo, Renzi, e anche qui nessuno dubita che se si va a scavare, qualche aspetto negativo sussista, in quella partita di prestiti per l’acquisto di una villa di prestigio. Ma, di nuovo, il fine ultimo sembra essere quello di costringere l’odiato Renzi a togliere l’incomodo della sua presenza nella maggioranza, sempre sul filo del rasoio. Non parliamo poi delle firme di cui il settimanale si fa vanto, come un Massimo Cacciari che mi ricorda Bartali, col suo detto famoso, “gli è tutto sbagliato, tutto da rifare”. Quel Cacciari che osa l’inosabile, neppure un Kant redivivo, chiamato dalla Gruber, oserebbe dirsi “filosofo”, magari si limiterebbe a proclamarsi solo docente di filosofia, e non filosofo tout court, come fa invece con suprema impudenza il nostro Cacciari, mettendo in rilievo la parte peggiore di sé, quando, come mi è capitato di dire altra volta, di notte si trasforma in un Dottor Jekyll, scrivendo in un ridicolo “filosofese”, che fa rima col “poetichese” e “critichese” di altri esponenti sbagliati dei rispettivi settori. Da abile manovriero della politica vissuta giorno per giorno, come già detto, Caccari continua a sprigionare pessimismo, a diagnosticare crisi inevitabili, a emettere profezie di sventura. il che del resto trasuda da ogni colonna di questo ormai inutile e sconfortante supplemento.