Ho appena lodato, la domenica scorsa, Elke Schmidt per una giusta operazione da lui compiuta in una delle sedi del suo regno, Palazzo Pitti, ritirando ed esponendo dai depositi un capolavoro del Barocci, che già devo rinnovare l’encomio per un uso molto appropriato condotto in una sede limitrofa, il Giardino di Boboli, dove infatti vengono piazzate sedici sculture di quello che forse è il numero uno della scultura inglese attuale, Tony Cragg (1949). A dire il vero, proprio per questa sua eccellenza, e imponenza di volumi, Cragg meritava di essere accolto sulla sommità del colle, negli spalti del Belvedere, che però sono amministrati dal Comune del Giglio, sotto la guida di Risaliti, ma il padrone di casa non ha provveduto a scegliere a tempo opportuno questo inquilino, e di nuovo il Comune fiorentino non lo ha neppure schierato in Piazza della Signoria, come pure ha fatto nel caso di altri eccellenti scultori dei nostri giorni. Del resto, se non sbaglio, finora Firenze non ha avuto attenzione neppure verso i compagni di squadra del Nostro, emersi assieme a lui, anche se poi ciascuno di loro ha preso la sua strada, Anish Kapoor specializzandosi in voragini che fanno smarrire al visitatore il senno dell’orientamento; un troppo trascurato Bill Woodrow, che invece insiste in proposte aeree, quasi di giostre volteggianti nel vuoto. Mentre pare essersi perso per vie sfuggenti il quarto membro del Gruppo, Julian Opie. In comune tra tutti loro c’è il rifiuto perentorio di ogni iconismo, il che potrebbe giustificare il fatto di esporre Cragg in un parco maestoso, a contatto con le manifestazioni di una natura rigogliosa. Ma l’incontro non c’è, in quanto Cragg preferisce favorire delle emissioni dal sottosuolo, alla scoperta di fenomeni tellurici, sismici, vulcanici, di quelli che si producono lenti e implacabili nel corso del millenni, stalattiti e stalagmiti giganti, comunque formazioni rocciose, o di organismi primitivi che però ormai risultano fossilizzati. La scala cromatica adottata dall’artista conferma questa opzione per le tinte naturali, colori terrosi, spenti, lividi, o se c’è, almeno in un caso, un’opera che si affida a un dispiegarsi di membrature, di epiteli espansi, questi sembrano più che altro essere come dei mostri ricavati dal mare, con screziature sgargianti più degne di molluschi che di fiori. Si potrebbe dire che in Cragg c’è una sorta di fanciullino, ma partorito da qualche gigante, da un Polifemo, che recatosi al mare, si compiace di afferrare grandi porzioni di arena, mista a ghiaia, e di farle colare tra le sue mani, come appunto fanno i bambini alla spiaggia, fino a creare degli ammassi informi, che si erigono in verticale ma oscillando su basi che rischiano di non reggerli. Vengono in mente anche degli enormi coni gelato, quando sulla loro cima si allargano bioccoli, grumi di spuma, sempre sul punto di crollare, nonostante l’ostinazione con cui l’utente tenta di accrescerli ancora, di innalzarli di qualche gonfiore supplementare. Il che ci porta pure a osservare che accanto alle tonalità plumbee, sinfonie di colori metallici, di fusioni indecifrabili, ci sono pure delle apparizioni di candidi fantasmi. Volendo allargare l’orizzonte ad altri validi esponenti della plastica odierna, direi che Cragg è l’unico campione che il Vecchio Continente può opporre a Frank Stella, da me ammirato di recente in una breve visita a New York, pure lui capace di estensioni illimitate, fino al punto di rottura, come candide emissioni di materiali tecnologici, sintetici, del tutto artificiali, Naturalmente tra loro ed altre presenze vige la linea di divisione che si può riportare al binomio dell’iconico contro l’aniconico. Campioni del primo, Damian Hirst tra di noi, Jeff Koons negli USA, magari con in mezzo il fiammingo Jan Fabre, capace di oscillare in un senso e nell’altro. Mentre un caso molto simile a Cragg è quello del tedesco Urs Fisher, che ha avuto, lui sì, l’onore di essere accolto nel bel mezzo di Piazza della Signoria, dove però ha fatto male i suoi calcoli, ovvero, come il bambino della similitudine, ha voluto gonfiare il gelato oltre il lecito fino a provocarne il crollo. In Cragg c’è invece una ben calcolata saggezza per cui i suoi ammassi e grumi ed emissioni telluriche sanno fermarsi al punto giusto di un equilibrio che li fa stare in piedi, orgogliosamente eretti.
Tony Cragg a Boboli, a cura di E. Schmidt, C. Toti, J. Wood, fino al 27 ottobre.