Quasi prevedendo la scomparsa di Camilleri il “Corriere della sera” ha messo in cantiere una serie di romanzi di nostri campioni del “giallo”, in una di quelle iniziative con cui i grandi quotidiani tentano di porre un freno al calo delle vendite, su cui, a buon conto, ormai tacciono, mentre solo qualche tempo fa esibivano trionfalmente il numero delle copie vendute. Questa serie, chissà perché, si intitola “nero profondo”, mentre più modestamente si tratta di gialli, come del resto indica il colore delle relative copertine. Io certo non amo troppo questo intero genere, di cui vado a rivedere le pulci perfino al numero uno, allo stesso Camilleri, ma riconosco che è un fenomeno sociologico inevitabile, già comparso in precedenti stagioni della narrativa di tutti i tempi, e dunque bisogna pure occuparsene. Uno dei meno peggio è senza dubbio Gianrico Carofiglio, e direi proprio per una sua massima lontananza dal “nero” dagli effetti esagerati, tanto che per una sua precedente prova, “L’estate fredda”, l’ho contrapposto alla sgangherata, effettistica, manierata “Paranza dei bambini” in cui si è esibito Roberto Saviano, cercando di mettere all’incasso la fama di santone del mondo laico e di sinistra che si è conquistato. Camilleri, per stare ancora a un confronto inevitabile, era altrettanto fermo nella difesa di quei valori, ma restio a ricavarne facili frutti. In definitiva, anche Carofiglio, sul piano politico, difende quei medesimi valori di sinistra, come risulta dalle sue frequenti comparse nel salotto della Gruber, ma lo fa proprio senza venir meno a un abito di corretto decoro formale, di freddo raziocino, quale gli deriva dal ruolo di magistrato che ha occupato per lungo tempo, e che non tradisce neppure sulla pagina. Non per nulla il prodotto di cui ora vado a parlare si intitola “La regola dell’equilibrio”, che è quasi un ammonimento che l’autore sembra in primis porre a se stesso, e a uno dei suoi protagonisti preferiti, in questo caso Guido Guerrieri, cui impresta molta parte di sé sia a livello professionale, di essere profondo esperto del diritto e nello stesso tempo di essere in possesso proprio di ferme doti di equilibrio, prudenza, circospezione nel condurre le inchieste. Con un relativo riscontro a livello linguistico, infatti Carofiglio si vale di una lingua corrente, pacata, non restia ad affrontare anche formule di gergo avvocatesco, ma quasi scusandosene o fornendo subito una opportuna versione per noi lettori sprovveduti. Naturalmente in questa incapacità di valersi di un sensuoso bilinguismo sta un limite di tutti i seguaci delle orme di Camilleri, un cui punto di forza, come ben sappiamo, è invece di cavalcare la tigre dei saporiti inserti dialettali. Per evitare ulteriormente di essere trascinato in qualche vicenda torbida e arrischiata il nostro autore scinde la sua materia in episodi ridotti. Infatti il suo portavoce qui di casi ne affronta due, e fra l’altro non ci scappa il morto, ennesima infrazione a regole implicite di un genere che il narratore-magistrato è riluttante a rispettare fino in fondo. In un primo caso Guerrieri difende un giovanotto accusato di stupro da una ragazza, che però, giocando abilmente su telefonate registrate, la nuova inevitabile fonte di prove e documenti, egli può dimostrare essere già stata in relazione col presunto violentatore, e dunque il rapporto si avvia a prendere i toni smorzati e penalmente irrilevanti del rapporto consenziente.
Più impegnativo il secondo episodio, in quanto a chiedergli di essere difeso è un suo quasi parigrado, un magistrato, tale Pierluigi Larocca, che però appare subito assai antipatico, spocchioso, da autentico “primo della classe” in tutte le sue imprese, nel pubblico e nel privato. Se Carofiglio ha un torto, è di farci apparire subito detestabile questo personaggio, tanto da aderire spontaneamente all’avversione che forse verso questo cliente prova lo stesso Guerrieri. Facciamo quasi il tifo con lui, partecipiamo a una accurata ricerca delle prove che rivelino come davvero il Larocca si sia fatto corrompere in vari casi per fornire sentenze favorevoli a malavitosi, ricevendo in cambio laute prebende, ovviamente scaricate su conti esteri. Il tutto forse è un po’ troppo evidente fin dalle prime battute, ma dobbiamo comunque apprezzare la finezza con cui il nostro avvocato difensore riesce a mettere nei guai l’assistito senza venir meno alla deontologia professionale, che non consente di infierire su un proprio cliente, anche se lo si sa colpevole. Purtroppo Carofiglio non sfugge a un noioso stereotipo di questo genere letterario, di infilare cioè nel cast dei comprimari una brillante detective pronta a intrecciare un flirt col conduttore dei giochi. Ma anche nell’inserire un motivo di questo tipo Carofiglio mantiene la mano leggera, ovvero rispetta quel senso di equilibrio che è annunciato perfino in copertina.
Gianrico Carofiglio, La regola dell’equilibrio, Corriere della sera, pp. 284, euro 7,90.