Su Antonella Boralevi posso ricordare un aneddoto divertente, risalente addirittura a una quarantina d’anni fa, al 1983. Allora mi avvenne di curare la mostra per il centenario dalla nascita di Gino Severini, nel fiorentino Palazzo Pitti. La Boralevi mi intervistò, credo che fosse per “Epoca”, e io, per spiegare il senso della mostra, che intendeva rendere onore a Severini in ogni suo aspetto, Futurismo, Richiamo all’ordine, recupero dell’affresco, dell’arte sacra, con un finale ritorno all’astrazione geometrica, mi avvenne di usare una metafora, devo ammettere, molto banale, dicendo che quell’artista era come il maiale, tutto buono da utilizzare, senza doverne buttare via nulla. La giornalista riportò fedelmente questo mio giudizio, il che non piacque affatto a Gina, figlia dell’artista, che non mancò di lamentare la mia senza dubbio infelice battuta, anche se, a dire il vero, avevo sperato che l’intervistatrice non la riportasse pari pari. Molto tempo è passato da quella lontana e minima vicenda, io sono affondato nel nulla mentre la Boralevi è cresciuta, fino ad apparire talvolta nel salotto “buono” della Gruber, inanellando una serie di successi, tra cui alcuni romanzi. Ed è proprio dell’ultimo di questi che ora mi voglio occupare, “Chiedi alla notte”, titolo enfatico e immotivato che però copre un prodotto invece piacevole, fresco, pur nella sua semplicità quasi disarmante. E’ una sorta di instant book, di cui piace proprio la rapidità nel succedersi delle situazioni, affidate a una cronologia incalzante, e a una lingua che ovviamente è un parlato privo di ogni intenzione di fare stile, quasi corrispondente a una registrazione in diretta. Ma meglio così, meglio questa rapidità di formulazione, questa rinuncia ad ogni pretesa di fare stile, piuttosto che la noia da me provata, leggendo un prodotto che pure pretenderebbe di andare per la maggiore, il prodotto laborioso della Cibrario, “Il rumore del mondo”, affidato a una formula che fallisce su entrambi i fronti, quella della “storia”, in cui, come ho detto domenica scorsa, non riesce a far luce sui grandi personaggi che vissero a Londra e a Torino nel primo Ottocento, e tanto meno su quello dell’invenzione, infatti la trama procede fiacca avvolgendosi su se stessa. Nel caso della Boralevi, la “storia” altro non è che cronaca, ma inseguita a ritmo travolgente, e portandoci su scene di perfetta attualità, quelle che noi stessi vorremmo frequentare, confusi fra le masse dei turisti. Si parte da una serata al Festival veneziano del cinema, offertoci appunto in diretta, quasi con invito a cercare anche noi di infiltrarci tra coloro che vengo ammessi al red carpet delle celebrità. E poi, anche fuori di lì, quanti squarci per i canali e le calli della Serenissima, magari con permesso di entrare in qualche villa patrizia. E ci sono pure gli inviti a servirci con abbondanza di cibi, di bevande, ovvero il romanzo sa divenire anche un ricettario, una guida gastronomica. Magari l’invenzione la trama non eccelle per originalità, ma sa valersi di giusti richiami alla suspense, sfornandoci subito l’inevitabile delitto, nella persona dell’ospite più attesa, la diva numero uno della serata, tale Vivi Wilson, che passa ben presto dalle stelle alle stalle. Infatti dopo le scene di tripudio che le dedicano i fan, ne viene scoperto il cadavere, quasi un involucro di miseri indumenti spinto a terra in qualche angolo del Lido, vittima di una morte per acqua. Da qui l’inevitabile inchiesta, affidata a commissario, un certo Alfio che non fa nulla per mascherare un carattere banale di sciupafemmine, esemplato su tanti suoi illustri colleghi che ci vengo restituiti ogni sera dai programmi televisivi. Del resto, diciamolo pure, anche questo elaborato dalla Boralevi sembra un prodotto già pronto per esulare dalla carta stampata ed entrare nel repertorio Sky o Netfix, secondo quel destino ibrido che oggi è la nota dominante dell’intera narrativa, quasi a gara con quanto succede nel mondo delle auto. Naturalmente, mi guarderò bene dal tradire lo scoop su cui si basa lo scioglimento di questo “giallo”, che peraltro non risulta inferiore alle risorse, ai colpi di scena, al recupero di qualche fantasma o colpa o delitto del passato, di cui si valgono concordi i vari Cordier e Barnaby e Vera dei nostri giorni. La Boralevi segna un ultimo punto a suo favore decidendo di rendere omaggio alla propria condizione femminile, e dunque la soluzione finale verrà fuori, non già dal commissario troppo sicuro di sé, ma dalla sua partner, Emma, che ha la lucidità di fare un’indagine rivolta a far luce sui misteri del tempo che fu.
Antonella Boralevi, Chiedi alla notte, Baldini+Castoldi, pp. 529, euro 21.