Domenica scorsa 16 giugno si è tenuta nella sede Pd di via Murri una riunione in cui il Segretario cittadino Luigi Tosiani ha chiarito molto bene la posta in gioco nelle prossime elezioni regionali, l’obbligo di difenderci dall’assalto della Lega, con relativi impegni e misure. Si è poi data la parola ai presenti, sotto l’autorevole attenzione del nostro deputato di riferimento, l’on. Andrea De Maria. Io ovviamente ne ho approfittato per esporre quanto vengo proponendo nel mio blog, l’opportunità di andare a un incontro con il M5S, sfruttando la maggioranza che attualmente esiste in Parlamento e mandando a casa il pericolo numero uno Matteo Salvini. Devo riconoscere che De Maria mi ha risposto molto correttamente, osservando che una simile possibilità esiste, anche se difficile, e che potrebbe farsi molto attuale se ci fosse una crisi di governo rimettendo al Presidente il compito di proporre una qualche soluzione, senza mandarci a nuove elezioni, ipotesi a cui come ben sappiamo lui è del tutto restio. Semmai, De Maria ha irriso alla mia sotto-ipotesi di avviare comunque una trattativa riservata tra noi e loro per vedere se esista o meno la possibilità di stringere un contratto, al modo di quello Salvini-Di Maio, anche se beninteso di tutt’altra e opposta natura. Al che io posso ribattere che naturalmente se per colloqui segreti si intendono quelli di mezzanotte, ma semi-ufficiali, intessuti da Lotti e compagni, è senz’altro il caso di beffarsi della loro pretesa segretezza, inesistente. Ma mi permetto di osservare che ci sono occasioni permanenti di conciliaboli, sappiamo che i membri del Parlamento si vedono gomito a gomito ogni giorno a pranzo e a cena nei ristoranti attorno alle sedi istituzionali, e dunque possono intessere una fitta trama di pourparler. Credo che a questa riflessione si debbano convincere soprattutto i Pentastellati. Mi pare chiaro che Salvini, finché loro si assoggettano a farsi stuoino sotto i suoi piedi, non ha alcun interesse a far saltare il banco, ma a loro, a che gli giova mantenere questo stato di sudditanza? O meglio, forse colui che è del tutto asservito a questa situazione è il leader Di Maio, ma attorno a lui tanti altri dovrebbero mordere il freno, e dunque prestare orecchio, e anche partecipare, a questa grande ipotesi alternativa. Rinunciare ad essa condanna il Pd a un triste destino fatto di piccoli miglioramenti un passo alla volta, una elezione dopo un’altra. Si dice che bisogna pensare in grande, ebbene, questa alternativa di andare subito al potere e di dimostrare di essere capaci di portar fuori il Paese dal baratro mi sembra che rientri in questo ordine di grandezza.