Qualche giorno fa ho visitato alla GAM di Torino la mostra molto stimolante intitolata “Giorgio De Chirico. Ritorno al futuro”, ben curata da Lorenzo Canova e Riccardo Passoni. Come appare subito, il sottotitolo è ossimorico, o meglio, i due sostantivi che vi sono sbandierati si elidono fra loro, il “ritorno” allude a un passo indietro nella storia, mentre il “futuro” significa una spinta in direzione esattamente opposta. Ma questa negazione di un normale andamento del tempo è del tutto tipica di De Chirico, l’unico nostro artista che si è sottratto alla dialettica tra futurismo e passatismo, tra spirito avanguardistico e “mode rétro”. Ho già segnalato su questo blog che a fine aprile ero stato al Center for Italian Modern Art (CIMA) di New York a dire qualcosa del genere, cioè mentre artisti come Carrà e Severini, e perfino Picasso, oscilano tra i due stremi, solo De Chirico ha proseguito tetragono per la sua strada, fino alla fine. Ma allora come spiegare i mutamenti che pure ci sono lungo il suo percorso? In merito io innesco, fin dai primi ’70 del secolo scorso, una similitudine che mi è cara. Il nostro artista è un visitatore sistematico delle stanze del museo, con alterne fortune che non dipendono da lui, dal suo atteggiamento, coerente e continuamente ribadito, ma da quanto trova nelle varie sale, con i conseguenti riflessi sui nostri gusti. E dunque ai tempi della Metafisica gli arrise un grande successo perché visitava le stanze “giuste”, dell’arcaismo classico e del primo Rinascimento, ma poi, imperterrito, era passata a rivisitare le stanze “sbagliate”, condannate da certo gusto contemporaneo, quelle del barocco e del realismo- naturalismo. Infine, nell’ultima stanza aveva ritrovato se stesso, sentendosi stimolato a riproporsi, ma in termini conveniente a quegli anni, impegnati nei vari fenomeni detti del postmoderno, o della “mode rétro”, o del “retour á”, il che corrisponde proprio alla Neometafisica che la mostra torinese tematizza, e che a suo tempo era già stata rilevata da Calvesi, maestro di Canova. Io in proposito nel 1974 avevo organizzato presso il milanese Studio Marconi una mostra che si poneva sotto il mito dechirichiano, pur non esponendolo direttamente, ma riprendendo da lui il motivo della “ripetizione”, del ritornare a misurarsi coi fantasmi del museo, ma a patto di introdurvi un indice di “differenza”, giusto per segnalare che i “giri di pista” erano mutati, e che i nuovi arrivati stavano “doppiando” i prodotti del passato, come proprio De Chirico aveva fatto di se stesso. E’ stato inevitabile che nella visita mentalmente io paragonassi la mia selezione di mezzo secolo fa con questa ora condotta da curatori più giovani, rimarcando le coincidenze e invece le differenze. E dunque ho ritrovato quanti io stesso avevo esposto nel segno appunto di una “ripetizione differente”, pescandoli a dire il vero più che altro nella squadra stessa del gallerista che mi consentiva quella mostra, e dunque ecco gli Adami e Baj e Tadini e Paolini, ma anche Kounellis, che non mi erano sfuggiti. Al confronto devo ammettere che ero stato scarso nei riguardi di esiti paralleli da ritrovare presso la Pop romana, come invece opportunamente non ha mancato di rilevare la presente rassegna, ecco quindi Schifano, Angeli, Festa, Fioroni, e soprattutto i plastici Ceroli e Marotta, che invece io colpevolmente avevo trascurato. Poi ovviamente nella mia selezione mancavano quanti non avevano ancora messo a punto una loro propria “ripetizione differente”, e che invece avrebbero animato tutto quel brillante decennio, presente solo nei due “primi della classe”, Ontani e Salvo, gli unici che allora avevano già fatto i compiti giusti, mentre non potevo esporre né i “Nuovi nuovi” che sulla scorta di quei due alfieri avrei poi selezionata, né l’intera squadra degli Anacronisti, e neppure dei Transavanguardisti, tutti allora in fase di gestazione, più o meno avanzata. E non era neppure pronto Alessandro Mendini, che poco dopo, col suo studio Alchimia, sarebbe diventato un erede diretto di De Chirico, e un assoluto promotore del postmoderno. Ma in ogni caso devo ammettere che la cernita condotta in questa occasione appare sistematica, ricca di tanti altri artisti, alcuni anche dai nomi altisonanti, Melotti, Guttuso, Uncini, Rotella, Pistoletto, Parmiggiani. E naturalmente, all’altezza del ’74, non potevo certo allegare a sostegno della mia interpretazione il caso di De Dominicis, visto che appena due anni prima, alla Biennale di Venezia del ’72, lo avevo giocato come straordinario campione di audacie aperturiste. Ma poco dopo anche lui aveva percepito il richiamo dechirichiano, e quindi è stato giusto inserirlo in questa selezione, che conferma di quanto futuro fossero gravide le rivendicazioni del passato instancabilmente praticate dal genio della Metafisica, sempre pronto a prolungarla, a premetterle un “neo” colmo di affascinanti possibilità.
Giorgio De Chirico. Ritorno al futuro, a cura di Lorenzo Canova e Riccardo Passoni. Torino, GAM, fino al 25 agosto. Catalogo Gangemi-