Seguo da tempo con approvazione le opere di Valeria Parrella, che ho ascritto alle file di una “nuova napoletudine”, distinguendole per esempio da chi, come Donatella Di Pietro, con la sua “Arminuta”, ritorna implacabilmente a ricalcare le vicende di ordinario degrado che quasi fuori del tempo covano nei “bassi” della città campana, Anche le protagoniste della Parrella vivono in quegli ambienti, ma non sottostanno al ricatto degli stereotipi letterari, sono persone dei nostri tempi che lottano per acquisire un giusto grado di cultura, tentando di darsi a professioni dignitose, come l’insegnamento, anche se costrette alle trafile asfissianti di concorsi gremiti, di supplenze in luoghi lontani, avendo anche a che fare con genitori non sempre tolleranti e comprensivi. Lo stesso di dica anche per quanto riguarda la vita affettiva e sessuale, in cui queste figure femminili si mostrano all’altezza dei nostri tempi, pronte a intessere avventure o a lasciare che si interrompano, per passare a nuove esperienze. Se si vuole, sono anche esercizi che, pur non sapendo io nulla della biografia di questa scrittrice, ritengo largamente improntati a quella che ora si chiama “autofiction”. Ma su cui incombe il rischio di appiattirsi in esiti non provvisti di un sufficiente grado di dramma, di tensione, a livello di trama. Si sa bene però che la nostra Parrella in questa direzione ha fatto centro almeno una volta con “Lo spazio bianco”, in cui il modesto profilo di una ragazza dei nostri giorni è stato chiamato a seguire con ansia i tentativi di un figlio nato prematuro di balzar fuori da uno stato di sospensione tra la vita e la morte. Quell’evento ha calamitato il vissuto della protagonista, conferendogli palpito, tensione, emozione, fino al punto di rischiare ci collocarsi come prova insuperabile. Purtroppo di alcuni narratori si dice che non ce la fanno ad andare oltre un qualche loro straordinario exploit, c’è stato chi è arrivato a dare un simile giudizio “tranchant” perfino per il Moravia degli “Indifferenti”. Ma per suo conforto la Parrella mi sembra rinnovare quel clima denso e drammatico con la sua ultima uscita, “Almerina”, anche se lo fa, come è opportuno, non certo fornendoci una banale replica del romanzo di successo, anzi, riuscendo a mutare tutti i dati messi in campo. Intanto, colei che narra, di nome Elisabetta Maiorana, conferma la sua appartenenza a una categoria che la salva dal degrado, quella di insegnante, seppure non certo ad alto livello, infatti è docente in un carcere giovanile, quello di Nisida, nei pressi di Napoli, la città che sembra destinata ad attrarre su di sé tutte le possibili vicende di degrado. Al posto del figlio prematuro, in questo caso ci sta la portatrice del titolo, Almarina, povera ragazza immigrata dalla Romania, vittima di soprusi paterni, di difficoltà di ogni genere, che l’hanno costretta a delinquere, da qui la sua reclusione nel carcere minorile. E la professoressa la assiste, come già in precedenza era avvenuto da parte della madre ansiosa al letto del figlioletto nato prematuro. Naturalmente muta radicalmente il tipo di assistenza che in questa occasione conviene fornire alla vittima. La docente, che la sente come una propria creatura, la deve proteggere dal bullismo dei compagni di sventura, e cercare di procurarle un po’ di sollievo, ottenendo per esempio che le venga affidata per un soggiorno esterno in periodo natalizio. Sono senza dubbio pagine felici quando la madre putativa avvia la sua protetta ad apprezzare il conforto di impianti igienici, e anche di cosmetici, di cure, di vesti come si deve, a cui la povera orfanella è del tutto disabituata. Purtroppo però la burocrazia ha le sue leggi implacabili, e dunque quell’affido non può prolungarsi, anche perché la protettrice è rimasta vedova e dunque non può candidarsi a una adozione formale. La vicenda si chiude amaramente, con l’obbligo di relegare Almarina in una casa protetta, forse meglio del carcere, ma ugualmente costrittiva. In fondo, a fare un bilancio, questa storia ha termine su tinte più tristi, rispetto all’esito positivo del neonato felicemente uscito dal coma. Lo spazio bianco in questo caso si trasforma in un buco nero.
Valeria Parrella, Almarina, Einaudi, pp. 123, euro 17.