La mia riflessione di oggi è suscitata da un editoriale di Ezio Mauro apparso sulla “Repubblica” di mercoledì scorso, 19 dicembre, improntato alla solita moda attuale di dileggiare il Pd, di muovergli ogni possibile rimprovero, con la codardia che si rivolge ai perdenti. Intanto, attorno a Mauro, è sempre rimasto un mistero, almeno per chi come me è un povero cittadino fuori dai giochi, intendere la ragione per cui è stato esonerato dalla direzione di quel giornale, non certo per disaccordo con la proprietà e gestione di quel quotidiano, visto che ne è rimasto un commentatore privilegiato. E dunque, stanchezza sua personale, o che altro? E’ curioso che in un mondo della chiacchiera come l’attuale avvengano cose abbastanza consistenti, come la sostituzione di direttori di giornali, senza che ce ne venga spiegata la motivazione, mi riferisco ovviamente anche al passaggio delle consegne avvenuto al “Fatto quotidiano” da Padellaro a Travaglio. Ma dunque, veniamo alle gratuite irrisioni emesse da Mauro. La prima di queste riguarda la molteplicità di candidati in corsa per le primarie del Pd, invece di dargliene merito per essere l’unico partito italiano ad aver mantenuto l’abito democratico di stabilire per elezione chi ne debba essere il leader. Si noti che solo poco fa uno Scalfari aperto a tutto, a contraddirsi ad ogni uscita, proprio su “Repubblica” aveva rimproverato a Renzi il difetto di aver voluto agire da solo, come se in questo momento la politica italiana, e anche all’estero, non fosse fatta tutta di solisti, da Salvini a Di Maio, a un Berlusconi che solo da poco sembra aver accettato, per sua manifesta debolezza, di condividere qualche responsabilità con Tajani. Ma se si vuole evitare l’”uomo solo al comando”, ricorrendo proprio allo strumento democratico delle primarie, è inevitabile che ci sia una pluralità di candidature, e dunque un dato del genere non può essere occasione per fare dell’ironia gratuita a carico del Pd. Del resto, non è poi vero che il campo sia così affollato, in definitiva sono rimasti a contendersi solo due leader, Zingaretti e Martina, con pochi altri nomi senza alcuna possibilità di vittoria. L’aver tolto di mezzo un terzo incomodo, Minniti, è stato in definitiva un gesto salutare da parte di Renzi, che diversamente sarebbe stato accusato di volersi ingerire nell’elezione per interposta persona. Il bello è che attualmente, da giudici malintenzionati come Mauro, Renzi viene bacchettato qualunque cosa faccia. In definitiva, si era detto che dopo le due sconfitte successive patite dal Pd sotto la sua regia, egli avrebbe dovuto mettersi da parte, rifiatare, attendere magari un altro tempo di entrata. Ora che l’ha fatto davvero, apriti cielo, gatta ci cova, vuole minare il partito, scavargli la fossa. Si rasenta una tragica comicità quando Mauro muove accusa al Pd di stare coltivando il proposito di stringere una qualche alleanza col M5S. Questa era la soluzione suggerita da tanta parte dei cosiddetti liberi commentatori di sinistra. Quando Renzi aveva fatto la sua uscita contro, decisiva per bloccare una linea del genere, si era inveito contro di lui, accusandolo di essersi comportato ancora una volta come padrone del partito, arbitro della sua sorte, distogliendolo dal “sano” intento di ricucire con quel gruppo entro cui senza dubbio si è rifugiato un gran numero di elettori in uscita dal Pd. Il colmo del grottesco è che Mauro, sempre in quel suo editoriale degli equivoci, insinua che sia ancora presente nei Pd una tentazione del genere, mentre anche Martina, dopo qualche momento di esitazione, sembra ora sinceramente convinto di chiudere in quella direzione, questo almeno egli dichiara apertis verbis nel programma che enuncia nel dare la scalata alla segreteria del partito attraverso le primarie. E anche lo stesso Zingaretti non è proprio che si pronunci decisamente per una politica di alleanza coi Cinque Stelle.