Eccomi di nuovo a muovermi nello sconfinato territorio di para-letteratura oggi costituito dalla produzione di “gialli”, in cui appena due domeniche fa ho apprezzato l’ultima fatica del nostro giallista numero uno, Camilleri. Ora sono a dire abbastanza bene di un altro esponente di questa larga famiglia, Maurizio De Giovanni, che mi sembra raggiungere qualche grado di maggiore validità quando ci porge i frutti della serie intestata ai Bastardi di Pizzofalcone, mentre, sempre rovistando in questo territorio, ero stato severo verso un romanzo appartenente alla serie del commissario Ricciardi (“Il purgatorio dell’angelo”). Data appunto la validità di tale prodotto, mi chiedo perché la Rai si sia fermata, non abbia ricavato un ennesimo episodio del serial, confermando la curiosa stitichezza che affligge le nostre produzioni in materia, tutte ansimanti, boccheggianti, pronte a cessare dopo qualche prova, laddove i Cordier e i Barnaby della concorrenza straniera si prolungano in interminabili puntate. D’altra parte non è certo improprio giocare di rimbalzo, dall’esito televisivo a quello cartaceo, dove addirittura il rapporto si capovolge. La mia lettura è stata senza dubbio agevolata dal fatto che “vedevo” i personaggi, appena evocati sulla pagina, mi venivano incontro i volti degli attori che li hanno gestiti nelle poche puntate apparse sul piccolo schermo, e quasi divenivo io stesso il regista della puntata mancante, o lo spettatore virtuale di uno spettacolo inesistente.
Al solito, un primo requisito che ci deve guidare in queste letture e conseguenti valutazioni è il grado di verosimiglianza che presentano i vari lavori, dato che i nostri giallisti in genere sono renitenti a scivolare nel nero o nello “horror”. Da questo punto di vista l’attuale storia è ben confezionata, anche se non si capisce bene perché mai l’autore le abbia imposto il titolo di “Vuoto”. Certo, la vittima, tale Chiara Fimiani, ha un’esistenza abbastanza vuota, ma non più di tanti altri personaggi femminili, tutti “casa e chiesa”, assorbiti da una attività professionale, che nella fattispecie vede la nostra nei panni di una brava insegnante, dedita al riscatto di esistenze gravate di malanni, mentre non manca di rimanere fedele e devota a un marito, anche se questi la trascura, trattandosi di un uomo d’affari, posto al centro di un regno di commerci e traffici che gli danno agiatezza, come per esempio il possesso di uno yacht prestigioso. Il motivo di trama è molto semplice, questa brava donna e insegnante scompare, con preoccupazione dei colleghi, e difficoltà di intervento per i Bastardi, dato che il marito non ha affatto denunciato la scomparsa della coniuge, mentre i soliti superiori, burocratici, messi lì per impantanare la generosità dei bravi sottoposti, raccomandano che non si disturbi il manovratore, quell’insigne commendatore che oltretutto si dà pure a operazioni benefiche. Come quasi sempre succede in questi casi, le pagine più divertenti ed efficaci sono quelle dedicate proprio all’équipe dei Bastardi, ciascuno di loro coi propri difettucci e patemi e guai esistenziali cui ci siamo affezionati. Anche De Giovanni si permette qualche variante, come già era avvenuto nell’ultima prestazione di Camilleri, in cui Montalbano si era preso una vacanza dallo stucchevole e tedioso amore per la compagna sempre assente e lontana, invaghendosi di una collega comparsa all’improvviso al suo fianco. Qui succede la stessa cosa, nell’équipe dei Bastardi viene all’improvviso inserita una valida commissaria, Elsa Martini, e ne potrebbe nascere del tenero, con l’introverso e cupo Lojacono, impersonato da un Alessandro Gassmann decisamente lontano dal tratto aperto, conviviale, straripante del padre, per chiudersi a riccio a covare una sua infelice problematica, che non riesce a condividere con un’altra persona chiusa come lui, la procuratrice Piras. Ovviamente non devo incorrere nel reato di propinare a qualche mio incauto lettore, se mai esiste, la soluzione del giallo. Ho detto che ci muoviamo in un’orbita di verosimiglianza, ma questo significa anche che l’autore va a pescare in un repertorio prevedibile e scontato. Basti dire che il potente commendatore, al di là del volto perbenista di cui gode nel sistema, si macchia di orridi delitti contro minori. Ma questo non è un vuoto, al contrario, è un tutto pieno di emozioni, reazioni e orrori da cui l’esistenza della vittima, la brava Fimiani, viene travolta.
Maurizio De Giovanni, Vuoto, Einaudi stile libero, pp. 344, euro 19.